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Numero 11 del 2015

Not in my name - contro il terrorismo


Foto: Not in my name - contro il terrorismo
PAGINA 25

Testi pagina 25

23Novembre-Dicembre 2015
curezza delle nazioni unite manda una informativa, per aiu-
tare le forze governative a smascherare i jihadisti in cui si
legge: “Sono individui sospetti la cui attitudine suggerisce
siano portatori di materiale esplosivo artigianale. Bisogna
fare attenzione al viso, più chiaro dove la barba è stata rasa
da poco. Sono individui molto concentrati e attenti, spesso
parlano tra sé e sé, molto probabilmente perché recitano
l’ultima preghiera. Indossano vestiti sporchi e pesanti. E
camminano con determinazione”. Una descrizione che non
funziona in Cameroun e Didier lo sa, le sue bambine indos-
sano abiti leggeri e puliti e non si fanno la barba.
E intanto muoiono. Come le quattro donne che lo scorso
21 novembre sono saltate in aria uccidendo capo villaggio
e famiglia, in un sobborgo di Fotokol, a pochi chilometri
dalla capitale del Tchad dove il 19 si era aperto il summit
G5 Sahel contro il terrorismo. In Italia lo chiameremmo un
avvertimento, in Cameroun è l’ennesimo attentato che fa
psicosi tra la gente. In una intervista rilasciata al “Camero-
on Tribune” il colonnello Didier Badjeck spiega: “A volte l’e-
splosivo viene semplicemente consegnato alle giovani che
ignorano cosa contenga il pacco che trasportano. Sono
ragazzine e adolescenti provenienti dagli ambienti più di-
sagiati. Quando i terroristi le vedono arrivare in mezzo alla
folla si aziona un comando a distanza e la bomba esplode.
Abbiamo raccolto molte testimonianze al riguardo e sap-
piamo che questa modalità viene ormai utilizzata sempre
più spesso”. Diversamente dalla Nigeria, dove Boko Ha-
ram utilizza la tecnica dei sequestri di massa e le giovani
kamikaze “scelgono” di darsi la morte per porre fine al cal-
vario della prigionia e sfuggire a torture sessuali. Come nel
caso delle liceali rapite a Chibok nell’aprile 2014.
LE KAMIKAZE
BAMBINE
DEL CAMErOUN
di Emanuela Irace
I tERRoRIstI dI Boko HARAm fAnno
EspLodERE tRA LA foLLA BAmBInE
costREttE A IndossARE cIntuRE
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NOT IN MY NAME | 2
Il colonnello Didier è il portavoce del ministero della difesa del Cameroun . Un ministero strategico da quan-do a fine luglio gli attentati suicidi di Boko Haram hanno
annullato ogni possibile resistenza dell’esercito. Un’evolu-
zione di strategia che fino ad oggi utilizzava mine ed esplo-
sivi sul territorio. Una mattanza, specie per le popolazioni
dell’estremo nord del paese, ai confini con la Nigeria, lo
stato che ha allevato Boko Haram. Il gruppo terrorista af-
filiato al Daesh che arruola con la forza o volontariamente
migliaia di giovani combattenti. Sono soprattutto ragazze.
Bambine che si arrabattano, con una età tra i dieci e
quindici anni. Senza istruzione e senza mezzi. Venditrici
ambulanti di datteri che per 10 dollari diventano portatrici
di morte, spesso inconsapevolmente. Le cinture di esplosi-
vo ai fianchi sembrano una merce e poi ti pagano bene per
trasportare quella merce così preziosa. E tu lo fai perché
tua madre ha altri sei figli e pensi di esserle d’aiuto così,
con i dieci dollari che porterai a casa la sera, senza sapere
che da qualche parte c’è qualcuno che premerà un tasto e
bum, di te e della tua cintura non resterà niente.
Esplosione a distanza. L’evoluzione del jihadismo nel
Cameroun passa attraverso i corpi delle bambine e il co-
lonnello Didier lo sa, ma ha pochi mezzi per contrastare
l’offensiva di Boko Haram, traduzione letterale di “l’educa-
zione occidentale è peccato”. Nonostante le politiche tra
paesi confinanti per coordinare le azioni anti terrorismo co-
muni all’area. Nonostante la difficoltà di ottenere risultati,
quando i 5 stati del Sahel premono per rigettar fuori dai
propri confini i guerriglieri jiahdisti che così si riversano nei
paesi limitrofi. Come in Cameroun che da due anni lotta
senza alcun supporto esterno.
Per fortuna c’è l’ONU. Il 13 luglio il dipartimento della si-
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