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Numero 11 del 2015

Not in my name - contro il terrorismo


Foto: Not in my name - contro il terrorismo
PAGINA 17

Testi pagina 17

15Novembre-Dicembre 2015
Un servizio sanitario pubblico ha ragione di esistere se è in grado di ridurre gli effetti delle disuguaglianze so-ciali sulla salute. Analizzare gli indicatori di salute spe-
cifici per condizione sociale è una obbligazione assoluta per
autorità politiche, amministrative e tecniche che si assumono la
responsabilità di governo. È altresì di interesse delle varie pro-
fessionalità sociosanitarie avere consapevolezza dell’esistenza
di eventuali divari degli indicatori nelle stratificazioni sociali per
gli stimoli di riflessione sulle strategie operative e sui modelli di
comunicazione adottati con le persone. È, infine, di interesse in-
derogabile per le comunità acquisire analoga consapevolezza,
anche al fine di verificare con quale risultante qualità le risorse
messe a disposizione con le tasse vengono impiegate e agire
di conseguenza in forme adeguate perché i modelli operativi
vengano modificati in modo da ridurre, se non annullare, le dif-
ferenze osservate.
Infatti, l’esistenza di differenziazioni di stato di salute per classe
sociale è un segnale potente del malfunzionamento del sistema
a parità di risorse impiegate. Quando si afferma che la salute
è bene comune si intende sostenere che la salute di qualsiasi
persona in una comunità dipende da quella di tutte le altre pre-
senti, a qualsiasi titolo, nel territorio considerato.
Accettare le differenze e giustificarle non è solo odioso e raz-
zista, è soprattutto miope e stupido. La progressione della tas-
sazione a seconda del reddito ha anche questo aspetto come
suo fondamento.
Si possono portare molti esempi che dimostrano la validità di
quanto affermato. Quello più luminoso per il risultato e per l’univer-
salità è rappresentato dall’eradicazione del vaiolo. Scomparso da
diversi anni nel mondo industrializzato, grazie alla vaccinazione,
perseguire l’obiettivo di eliminare la circolazione del virus in ogni
angolo della Terra, per quanto remoto, era fondamentale per in-
terrompere la profilassi vaccinale che comportava effetti collaterali
gravi (ma inferiori alle devastazione della malattia). Così ci fu un
grande impegno a livello internazionale ad applicare con intelli-
genza scientifica valide strategie operative, impegno facilitato, alla
fine degli anni Settanta del secolo scorso, da più bassi livelli di
azioni di guerra nel mondo. Intelligenza scientifica e solidarietà in-
ternazionale sono state le carte vincenti giocate prendendosi cura
degli ultimi degli ultimi della Terra. Dopo due anni dall’ultimo caso
di vaiolo scovato dal sistema di sorveglianza attivo internaziona-
le, finalmente si poté dichiarare il vaiolo eradicato (dicembre del
1979) e, conseguentemente, eliminare la necessità di vaccinare
da allora le nuove coorti di nati in tutto il mondo e non pagare più
il costo delle complicazioni gravi da vaccino. Occuparsi in modo
scientifico degli ultimi ha prodotto un beneficio di salute per tutti.
In generale se si lavora male o non si raggiungono le persone
che vivono in condizioni di marginalità sociale ciò è dovuto a
una attitudine che si può riassumere nello schema del pater-
nalismo direttivo, ma tale attitudine favorisce gli sprechi e im-
pedisce di avere migliori esiti di salute anche per le persone
più abbienti, perché il paternalismo direttivo si basa sulla di-
pendenza e sull’acquiescenza al comando mentre migliori esiti
si ottengono quando si opera facendo emergere, valorizzando,
promuovendo, sostenendo e proteggendo le competenze delle
persone e delle comunità.
Sanità pubblica
e diSuguaglianze Sociali
ne. Ne abbiamo parlato insieme a Simona Ammerata,
attivista del collettivo Casa delle donne Lucha y Siesta,
Barbara Bonomi Romagnoli giornalista e autrice di “Irri-
verenti e libere. Femminismi del terzo millennio”, Kwanza
Musi Dos Santos attivista dell’associazione QuestaèRo-
ma, Cristina Petrucci attivista e parte della delegazione
di Osservatori internazionali alle scorse elezioni in Turchia.
Quattro donne molto diverse tra loro ma accomunate dallo
sguardo critico e attento e dall’esercizio quotidiano di una
cittadinanza attiva. Oltre i singoli interventi, interessanti e
critici rispetto ad uno status quo che come donne autode-
terminate e femministe non ci convince e non ci soddisfa,
si conferma la necessità di un movimento di donne for-
te fuori dalle istituzioni, come migliore garanzia perché le
donne in politica, ancora poche nel nostro paese (poco
più del 21% su 93mila incarichi politici secondo l’ultimo
dossier sul tema di Openpolis), si possano sentire portatri-
ci di istanze differenti. Dunque, perché cambino linguaggi
e azioni concrete della politica, le donne, fuori e dentro
le istituzioni, devono svolgere un ruolo da protagoniste.
Come? Mettendosi in ascolto delle donne che non fanno
politica e che non si dicono femministe, ma che affrontano
concretamente tutte le difficoltà di essere donne in Italia,
ancora al 41° posto nella classifica Global Gender Gap
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