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Numero 9 del 2012

Futura: Il domani che è tra noi / 1


Foto: Futura: Il domani che è tra noi / 1
PAGINA 18

Testi pagina 18

FOCUS %%/%W



FUTU RA/ 3 pensieri-esperienze-tecniche

RICERCA.
PASSIONE INFINITA

Precario e all'avanguardia: è un Centro Ricerche
a Modena. Intervista a Daniela Vallerini

di Tiziana Bartolini

terapia cellulare un certo tipo di leucemia acu-

ta caratterizzata dalla presenza di una mu-
tazione genetica chiamata 'Philadelphia'. I| principio diverso
dalla chemioterapia convenzionale è quello di cercare di istrui-
re i linfociti dei pazienti a riconoscere le cellule malate e a di-
struggerle. È una tecnica assolutamente innovativa e che si
fa in pochissimi centri. Attualmente stiamo trattando tre per-
sone e ci accingiamo a sottoporre gli esiti delle cure, al mo-
mento sperimentali, all'attenzione di una rivista internazio-
nale. I risultati sono incoraggianti perché i pazienti soppor-
tano molto bene la terapia in quanto si tratta di loro cellule,
che quindi non innescano processi di rigetto, che però sono
istruite a riconoscere le cellule malate e ad ucciderle".
Daniela Vallerini è laureata in Biologia con 110 e lode ed è dot-
tore di ricerca. Vive a Carpi e lavora a Modena, nel gruppo di-
retto dal professor Mario Luppi - a sua volta giovane profes-
sore (48 anni) e nuovo direttore del Dipartimento di Scien-
ze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e dell'Adulto e
membro del Senato Accademico dell'Università di Modena e
Reggio Emilia - insieme a Leonardo Potenza, Patrizia Baroz-
zi, Giovanni Riva, Chiara Quadrelli e Eleonora Zanetti, tutti ri-
cercatori del laboratorio di Ematologia Sperimentale. I| la-
boratorio si occupa di ricerca nell'ambito delle malattie
ematologiche e delle complicanze infettive che possono in-
sorgere in pazienti immunocompromessi. Con Daniela Valle-
rini ci avviciniamo al mondo della ricerca, guardando più da
vicino una dimensione decisamente affascinante.

avoriamo a tre filoni principali di ricerca, uno
I I I dei quali è finalizzato a curare attraverso una

La ricerca di cui ci ha parlato sembra molto importante: si
parla di aumentare le speranze di vita per malati gravi. Come
è iniziata?

Tutto è partito dalla segnalazione di un medico, molto attento,
che ha notato che un aumento del numero dei linfociti tota-
li nei pazienti era associato alla riduzione di malattia e quin-
di si è chiesto se fra quei linfociti non ci fossero anche quel-
li specifici in grado di controllare la malattia. Abbiamo indi-

0 noidonne I settembre I 2012




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viduato queste cellule e le abbiamo studiate. Ci siamo chie-
sti: se esistono queste cellule perché non proviamo ad
espanderle e a infonderle nei pazienti per tenere sotto con-
trollo la malattia? Quindi, in collaborazione con il gruppo di
lavoro coordinato dalla Dr.ssa Patrizia Comoli presso l'IRCCS
Policlinico San Matteo di Pavia, abbiamo avviato la ricerca su
tre pazienti, che attualmente stanno bene. Sembra che la loro

malattia sia in regressione e, anche se non possiamo dire che
siano guariti, riteniamo i risultati incoraggianti.

VI-

Come definiresti la ricerca: un lavoro di fantasia oppure è un
campo in cui occorre solo metodo e competenze?

Credo che sia un mix delle due cose. Nel nostro caso speci-
fico, se non ci fosse stata la sensibilità di un bravo medico at-
tento a notare un dettaglio, non avremmo avuto il 'via'. Quel-
la è stata una felice intuizione, ma poi c'è voluto molto stu-
dio e molti esperimenti per dimostrare che quei linfociti era-
no veramente in grado di uccidere le cellule malate. Sicura-
mente per fare ricerca devi essere molto motivato e poi ci vuo-
le tanta dedizione. È quasi una missione, soprattutto in Ita-
lia se consideriamo quanto poco è investito in termini di ri-
sorse economiche.

Già, la storia dei precari della ricerca, dei cervelli in fuga e
dei pochi investimenti...

Io, come molti altri colleghi, sono assegnista di ricerca. Si va
avanti di anno in anno con la speranza di trovare i soldi per
rinnovare il contratto. In Italia questo è uno dei pochi modi
per fare ricerca nelle università pubbliche. So che la condi-
zione non è esaltante e quando ho iniziato l'università non mi
immaginavo un futuro da “precaria a vita", ma voglio resta-
re a lavorare in Italia perché nonostante tutte le difficoltà mi
piace vivere nel mio paese e credo sia importante continua-
re a fare ricerca in Italia.

Il problema del sostegno economico alla ricerca non è di fa-
cile soluzione: i soldi pubblici sono pochi, ma i privati sono
interessati a finanziare solo ciò che potrà poi dare loro un gua-
dagno nel breve termine. Come si risolve la questione?

Per sostenere la ricerca di base, che solo dopo molti anni può
portare a risultati economicamente significativi, ci vorrebbero
molti più investimenti pubblici. È difficile, soprattutto in
questo momento di crisi. Una strada potrebbe essere quella
di donazioni libere e defiscalizzate da parte di privati o azien-
de. Per loro il tornaconto sarebbe immediato con il risparmio
delle tasse e il ricercatore potrebbe essere svincolato da pres-
sioni dirette dell'investitore. I contratti nel nostro laboratorio
sono finanziati in gran parte da donazioni provenienti da as-
sociazioni benefiche come AIL o con la partecipazione a pro-


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