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Numero 4 del 2009

Felici combinAzioni


Foto: Felici combinAzioni
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Testi pagina 2

Si è diplomata a Teheran, dov'è nata,ma vive in Canada, nei pressi di To-
ronto dove ha conseguito un diploma in
scrittura creativa presso la Scuola degli
Studi Superiori dell'Università di Toron-
to e dove lavora come professore asso-
ciato al Massey College. Marina Nemat
ha fatto conoscere al mondo il suo no-
me pubblicando il libro "Prigioniera di
Teheran", che racconta la vera storia
della sua adolescenza in Iran e i due an-
ni trascorsi nella prigione di Evin a Te-
heran, fra torture e violenze. Ha quasi
terminato un altro libro.
E' a causa del suo passato che è di-
ventata una scrittrice ed un'attivista?
Quando ho scritto le mie memorie
sulla mia adolescenza in Iran ed il pe-
riodo passato in prigione non avevo in
programma di diventare un'attivista,
ma presto mi sono resa conto che scri-
vere soltanto non era sufficiente.
Non potevo cambiare quello che era
successo a me ed ai miei amici, ma po-
tevo combattere per fare in modo che
non accadesse ad altri, e per me il mo-
do migliore era continuare a scrivere ed
intervenire a conferenze e ad altri even-
ti. Ho anche parlato nelle scuole e nelle
università, per condividere con le giova-
ni generazioni l'esperienza umana di vi-
vere durante la Rivoluzione islamica e
di sperimentare le sue prigioni.
Come e perché ha deciso di impe-
gnarsi nella questione femminile in
Iran (e non solo): studi, esperienze
personali, aspirazioni, desiderio di
giustizia?
Non è stata una mia decisione: è
l'impegno che ha scelto me. Avevo 13
anni quando ci fu in Iran la rivoluzione
islamica, che sconvolse anche la mia vi-
ta. Provenivo da una famiglia cristiano-
ortodossa, poiché entrambe le mie non-
ne erano russe e nel 1917 dopo la rivo-
luzione comunista ripararono in Iran.
Mio padre era istruttore in una scuola
di ballo a Teheran e mia madre era una
parrucchiera. Sono nata e cresciuta nel
1965, all'epoca dello Scià ed ho avuto
un'infanzia piuttosto idilliaca.
Avevamo un cottage sul Mar Ca-
spio, dove ho passato le mie estati in-
dossando bikini sulla spiaggia e ballan-
do la musica dei Bee Gees. Anche se lo
Scià era un dittatore, io non lo sapevo.
Come cristiana non sono mai stata per-
seguitata, la mia famiglia non faceva
politica e, per un periodo, abbiamo po-
tuto godere di una discreta libertà per-
sonale.
Poi è venuta la Rivoluzione…
Sebbene l'Ayatollah Khomeini avesse
promesso la democrazia al popolo ira-
niano, non è ciò che abbiamo avuto, an-
zi abbiamo perso anche quello che ave-
vamo. Dopo la Rivoluzione, divenni
sempre più infelice man mano che in-
dossare lo Hijab [= velo islamico] ven-
ne reso obbligatorio, i giornali critici ver-
so il governo islamico furono resi illega-
li, la letteratura occidentale fu bandita e
la danza e la musica furono dichiarate
"sataniche". Ero un'adolescente, all'epo-
ca, e tutte le cose che amavo mi veniva-
no tolte. Fu insopportabile quando tutti
gli insegnanti della nostra scuola furono
sostituiti da giovani fanatici, membri
della famigerata Guardia rivoluziona-
ria, che non avevano i titoli per insegna-
re ma avevano l'ordine di fare il lavag-
gio del cervello ai giovani.
Quando e perché è stata arrestata?
Cosa le è successo in prigione?
Protestavo e manifestavo finché nel
1982 fui arrestata insieme a migliaia di
altri adolescenti. Ho passato più di due
anni nella famigerata prigione di Evin,
dove mi hanno torturata e dove sono
stata a un passo dall'esecuzione. In pri-
gione, uno dei miei aguzzini mi costrin-
se a sposarlo all'età di 17 anni. Ciò non
significava che sarei stata rilasciata,
ma che avrei passato le notti in una cel-
la isolata con lui, subendo ripetuti stu-
pri nell'ambito di un supposto "matri-
monio". Egli disse chiaramente che, in
qualità di prigioniera politica, non ave-
vo alcun tipo di diritto e che poteva fa-
re ciò che desiderava di me. Come si
può immaginare, questa esperienza mi
ha segnato pesantemente. Dopo il mio
rilascio, la mia famiglia rifiutò di farmi
domande su ciò che mi era accaduto
durante la prigionia, e non ricevetti al-
cun aiuto per poter gestire il trauma che
avevo affrontato; di conseguenza ho
sofferto tacitamente della malattia nota
come disturbo post-traumatico da
stress. Finalmente, quando riuscii ad af-
frontare il mio passato e a superare il
disagio, mi resi conto che dovevo testi-
moniare per raccontare la storia di mi-
gliaia di adolescenti che il governo del-
l'Iran aveva torturato e massacrato.E
questo è ciò che faccio oggi.
Come possono in modo concreto le
donne in Italia ed in altre parti del
mondo aiutare la causa di altre don-
ne che vivono situazioni come quelle
che ha vissuto lei?
Culturalmente, il Medio Oriente è
molto diverso dall'Occidente. Affinché
le donne occidentali possano aiutare la
lotta delle donne orientali, dovrebbero
essere informate bene. Leggere un libro
sull'Iran o sull'Afghanistan non fa di
una persona un esperto di Medio Orien-
te. Per acquisire conoscenza, dobbiamo
leggere molti libri e soprattutto interagi-
re direttamente con persone di altre cul-
ture. Il dialogo è la chiave per la com-
prensione. Dobbiamo tenere vive le que-
stioni parlandone in pubblico. Le donne
mediorientali hanno bisogno di soste-
gno ma sono perfettamente in grado di
risolvere i propri problemi, anche se ci
vuole tempo.
Come abbiamo visto in Iraq, un in-
tervento precipitoso e non informato
può condurre al disastro.
La violenza non può essere eliminata
con la violenza. La guerra non porta
mai a una pace duratura.
aprile 2009 noidonne2
Marina Nemat
Elisabetta Colla


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