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Numero 1 del 2010

2010 non ci resta che ridere


Foto: 2010 non ci resta che ridere
PAGINA 39

Testi pagina 39

“Accabadora", l'ultimo romanzo diMichela Murgia pubblicato da Ei-
naudi, racconta le vicende di Maria,
presa con sé da Tzia Bonaria come fili'e
anima (figlia d'anima). Accanto alla
bambina che cresce e diventa donna,
l'anziana cuce vestiti per gli abitanti
dell'immaginario paese di Soreni, nella
Sardegna degli anni Cinquanta, e la
notte esce per il misterioso servizio del-
l'accabadora: ""Acabar", in spagnolo,
significa finire e in sardo "accabadora" è
colei che finisce. Agli occhi della comu-
nità il suo non è il gesto di un'assassina,
ma quello amorevole e pietoso di chi
aiuta il destino a compiersi. È lei l'ulti-
ma madre." Con un scrittura tesa, a
tratti ruvida, ma venata di un lirismo
incandescente, Michela Murgia narra la
storia di una donna e di una terra.
Nel romanzo emergono due temati-
che di rilevanza civile, l'eutanasia e
l'adozione, viste attraverso la lente
di una società, quella sarda degli an-
ni '50, in bilico fra tradizioni arcai-
che e modernità. In che modo fa
emergere queste due tematiche?
Evitando come la peste di trattare il
linguaggio come arredo etnico e senza
la forzatura di una narrazione a tesi.
Che l'accabadora sia antesignana del-
l'eutanasista io non lo penso, e anzi lo
discuto. Credo invece che fosse parte di
una percezione della maternità molto
più ampia di quanto non siamo disposti
ad interpretare noi oggi nel nostro con-
testo, che funzionalizza le fasi della vi-
ta per relegare ai margini quelle meno
economicamente produttive. Vecchi,
malati, bambini, madri… la mutazione
genetica del nostro modo di stare al
mondo ha fatto sì che questi aspetti del-
la normalità umana si tramutassero in
condizioni di emarginazione. Nel libro
io racconto una storia che si ferma un
attimo prima che questo avvenga.
Nella sua circolarità il romanzo
sembra proporre nascite moltiplica-
te: la maternità naturale, l'adozione,
la morte come liberazione attraverso
la figura dell'accabadora, l'ultima
madre. Vi è una "quarta nascita": la
determinazione di Maria, decisa a
lasciare la Sardegna e abbandonare
parte del suo passato. Concorda con
questa definizione di "nascita" ulte-
riore? Che significato ha per lei? Per
la protagonista che vive nella socie-
tà sarda degli anni '50?
Direi meglio che si passa di morte in
morte, e nel romanzo del resto è Maria
stessa ad affermare di starsi facendo
"accabadora" del suo passato. La morte
è più interessante della nascita, perché
ti costringe a fare i conti con un percor-
so già fatto, davanti al quale nessuno
può invocare innocenze o inconsapevo-
lezze. La nascita invece ha il suo senso
nel futuro, e davanti al futuro siamo
tutti come gattini ciechi, irresponsabili e
ignari. Credo che la morte porti in sé la
più feconda delle emozioni umane sul
piano del senso: la percezione feroce del
non ritorno, che impone la sfida a fare i
conti con quello che resta. Un gioco per
adulti, senza dubbio.
Le protagoni-
ste di que-
sto roman-
zo scelgono,
d e c i d o n o ,
a d o t t a n o ,
partono, ritor-
nano, danno
la vita e la
morte. I perso-
naggi maschili
sembrano essere
vittime di un de-
stino ineluttabile
al quale non posso-
no sottrarsi.
È vero, e rispecchia
il contesto sociale sar-
do degli anni '50, dove
se l'uomo era depositario
del "fatto", la donna lo
era del "senso". In una so-
cietà rurale come quella che racconto, il
maschio aveva pochissimi modelli di vi-
rilità rispettata a cui adeguarsi, tutti
pratici, mentre la donna poteva travali-
care i compiti di madre e di sposa per
intepretare altri ruoli sociali, tanto pra-
tici quanto sciamanici, vissuti con la
naturalezza di un retaggio, e socialmen-
te riconosciuti. Che non fossero comun-
que entrambi vittime di un destino non
posso dirlo, ma di certo alla donna ve-
nivano riconosciuti più strumenti per
gestirselo.
Il romanzo sembra
voler allentare il le-
game del sangue,
facendo intendere
la possibilità di
maternità che tro-
vano fondamento
in una dimensione colletti-
va. Quante e quali definizioni di ma-
ternità sono possibili per lei?
Una sola, quella definita dalla con-
sapevolezza, in qualunque forma si ma-
nifesti. La generazione biologica senza
consapevolezza rimane un mero acci-
dente uterino, e di conseguenza io guar-
do con fastidio a tutti i tentativi di defi-
nire la maternità - e di conseguenza le
donne - come istinto spontaneo dalla
pretesa naturalità. Mi ritengo fortunata
di provenire da una cultura della coge-
nitorialità, dove la volontà per secoli è
valsa più del sangue, e dietro ogni bam-
bino c'era un paese intero.
noidonne gennaio 2010 39
Accabadora
Intervista a Michela Murgia
Luca Benassi
"in sardo ‘accabadora' è colei
che finisce. Agli occhi della
comunità il suo non è il gesto
di un'assassina, ma quello
amorevole e pietoso di chi
aiuta il destino a compiersi.
È lei l'ultima madre"
(foto copyright Meloni-Deidda.
Per gentile concessione)


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