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Numero 1 del 2010

2010 non ci resta che ridere


Foto: 2010 non ci resta che ridere
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Testi pagina 2

Durante il lancio della Campagnaper l'assegnazione del Nobel per la
Pace alle donne africane, promossa da
CIPSI e ChiAmal'Africa, ho incontrato a
Roma Terezinha Da Silva, attivista per i
diritti delle donne. Prima Presidente del
Forum delle Donne Mozambicane fino
al 2002, poi Direttore Nazionale dell'A-
zione Sociale del governo, ha insegnato
in prestigiose università, in Africa e ne-
gli Stati Uniti; attualmente lavora per il
Centro di Formazione Giuridica del go-
verno mozambicano come consulente e
fa parte dell'associazione WLSA (Wo-
men and Law in Southern Africa), che
cura campagne di comunicazione e sen-
sibilizzazione sui temi di genere. Si trat-
ta di un'associazione dichiaratamente
femminista, come precisa Terezinha:
"C'è un enorme ignoranza su queste co-
se nel mio paese. In molti credono che
noi di WLSA odiamo gli uomini! Invece
dovrebbe passare il messaggio che esse-
re femministe significa riconoscere che
esistono dei rapporti di potere sbilan-
ciati che vanno corretti. Per me essere
femminista significa occuparmi di dirit-
ti umani."
WLSA basa la sua azione su quattro
punti fondamentali: ricerca, formazio-
ne, sensibilizzazione sui diritti sessuali e
riproduttivi delle donne e creazione di
reti internazionali. La ricerca avviene
tramite inchieste, indagini e interviste e
ha come scopo quello di trasformare le
donne vittime di violenze e abusi in
agenti di cambiamento per se stesse e
per altre donne.
È altrettanto necessario, afferma Te-
rezinha, formare agenti di polizia spe-
cializzati sulle molteplici forme che la
violenza contro le donne può assumere,
in modo da creare un dipartimento ap-
posito in ogni stazione di polizia del
paese (attualmente ne esistono 89). Ol-
tre a questo, l'associazione crede forte-
mente nella sensibilizzazione sui
diritti riproduttivi e sessuali del-
le donne, importante strumento
nella lotta contro gli abusi (cau-
sa inoltre di un'enorme diffusio-
ne dell'AIDS) e contro le gravidanze in-
desiderate (l'aborto è ancora illegale e
la mortalità materna è tristemente pre-
sente). "Le donne devono poter decidere
dei loro corpi, questa è la vera sfida che
dobbiamo affrontare", afferma l'attivi-
sta. E quando le chiediamo di darci la
sua opinione sul rapporto Europa-Afri-
ca, lei parla della creazione di reti inter-
nazionali per favorire il confronto tra
donne mozambicane e realtà degli altri
continenti: questo aumenta l'azione di
pressione che associazioni come WLSA
mettono in atto sulle istituzioni del loro
paese. "La società civile e gli enti locali
conoscono, meglio dei governi centrali,
i problemi delle persone. La loro opera è
più efficace ma servono risorse e serve
un'attenzione maggiore da parte delle
istituzioni. Il dialogo tra i vari attori so-
ciali è il modo più efficace per ottenere
dei cambiamenti. Il movimento delle
donne nel mondo ha bisogno di grande
autonomia e di uno spazio pubblico de-
dicato ad attività che mettano le donne
in primo piano come agenti e come sog-
getti che usufruiscano di speciali proget-
ti e piani di azione. […] Un grosso osta-
colo all'emancipazione delle donne in
Mozambico è la cultura, intesa come
tradizione patriarcale, secondo cui la
donna è inferiore e quindi deve essere
subordinata. Secondo me invece la ca-
ratteristica fondamentale della cultura
è la dinamicità: i tempi cambiano e le
tradizioni non dovrebbero in alcun mo-
do andare contro i diritti ormai acquisi-
ti. Invece le conquiste delle donne sono
ancora adesso vanificate da una cultu-
ra machista."
Migliaia di mozambicane tra i dodi-
ci e i quattordici anni sono costrette a
sposare uomini anche di quarant'anni
più vecchi e la poligamia, nonostante
sia stata resa illegale dal governo, resi-
ste come pratica culturale, espressione
di quella staticità che non vuole ade-
guarsi ai riconoscimenti mondiali della
dignità della donna. La legge contro la
poligamia è stata discussa per
oltre otto anni nel Parlamento
Mozambicano che l'ha infine ap-
provata, anche grazie a una
massiccia presenza delle donne
nei posti di governo: le donne
nel Parlamento sono circa il
32% e il 21% nell'esecutivo, tra
cui spicca la Presidente del Governo,
Luisa Diogo. Terezinha riconosce che ne-
gli ultimi decenni si è assistito a una
crescita di empowerment delle donne
africane. Ma c'è ancora molto da fare.
Terezinha crede che l'assegnazione del
Nobel possa costituire una spinta im-
portante: "Questo Nobel potrebbe dare
grande visibilità e riconoscimento alle
donne africane, che innanzitutto sono il
75% dei produttori di cibo del continen-
te e trasportano la merce attraversando
frontiere e controlli, correndo pericoli
enormi, per garantire la sopravvivenza
delle famiglie. Eppure quasi sempre non
decidono del denaro che guadagnano,
di cui si appropria velocemente il mari-
to o il maschio di turno. Come dimenti-
care poi il loro ruolo di educatrici o il
ruolo chiave nella risoluzione dei gravi
conflitti come il caso del Darfur e del
Burundi. È intollerabile che alle donne
non venga mai riconosciuto l'impegno
costante e totale, sopratutto nei contesti
di guerra in cui si occupano dei bambi-
ni abusati, dei bambini orfani e dei
bambini soldato. A loro è affidata la ri-
conciliazione tra comunità: perché du-
rante una guerra anche gli assassini so-
no vittime, e solo le donne se ne prendo-
no cura." Terezinha ci saluta, pronta a
sostenere i numerosi impegni che la
aspettano nei giorni a venire.
La sua fiducia in questo Nobel e più
in generale nel potere di cambiamento
che le donne africane possono esercitare
sulle loro vite e sull'intero continente, ci
lascia ben sperare che ci sia davvero un
futuro migliore che potrebbe partire da
Oslo.
gennaio 2010 noidonne2
Terezinha Da Silva
di Silvia Vaccaro


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