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Numero 1 del 2016

L'utero è mio e....? Maternità surrogata


Foto: L'utero è mio e....? Maternità surrogata
PAGINA 9

Testi pagina 9

7Gennaio-Febbraio 2016
Nei giorni scorsi pensavo a quanto ci si spertichi a rivendicare il va-lore e il senso dell’amicizia, che
si traduce e compiace spesso in auto cele-
brazioni di cui tutti, credo, inconsapevol-
mente, siamo vittime...’io per te ci sarò
sempre’, ‘puoi contare su di me’ e così
via, la carrellata è lunga, anzi lunghissi-
ma. Ed è fuori discussione che il più delle
volte sono frasi pronunciate con assoluta
convinzione, al di fuori della retorica e
prosopopea. Poi però basta fermarsi un
attimo a provare a dare risposta pratica a
ciascuna delle soprascritte rassicurazioni
per vedere che non è così, per il sempli-
ce fatto che non può essere così. Perché
ciascuno ha la sua vita, il proprio modo di
gestirla. Al punto in cui io mi chiedo fino
a che punto ha senso la confidenza, l’am-
missione di debolezza, che induce spesso
gli altri, probabilmente per protezione, a
darci soluzioni che non ci sono o comun-
que abbiamo già sperimentato. E allora ti
dici che forse, tutta la ‘letteratura’ sul di-
mostrarsi per ‘come si è veramente’ è una
cavolata. Tanto più perché uno è comun-
que sempre se stesso: quando manifesta,
quando non manifesta. E questo perché,
in un caso come nell’altro, sceglie. Io che
sono sempre stata una che si è fatta pre-
valentemente i fatti propri, ho capito che
forse, se parli di poco o di niente, è meglio.
Se non dici, l’amico non sa che hai taciu-
to, molto semplicemente. Gli amici più
consolidati sono quelli cui non racconto,
perché non ho bisogno di confidare, mi
vivono nella quotidianità, ci sono e ba-
sta, quindi posso evitare la narrazione.
Tra le persone cui tengo di più, una, che
in realtà è uno, ha la sensibilità della car-
ta vetrata passata su un braccio reduce
dalla ceretta, se l’amicizia è balsamo...
lui è ferita. Eppure il bene è invariato, io
so che quando ci vediamo non devo par-
lare di nulla, se non amenità, così lui sta
sereno. Insomma alla fine, la verità è che
l’età adulta, nel campo delle relazioni, ti
concede moltissime deroghe...ti avvicina
al compromesso...riduce le aspettative.
Ti fa capire che puoi volere bene e basta,
senza motivo, perché ci sono legami che
sfuggono, perché c’è un principio di be-
nessere, in quel rapporto, che vale quel
non potrà mai esserci come condivisione
e partecipazione. Così come credo, sem-
pre più, che dire tutto quel che si prova o
si pensa non è ‘il segno’ di amicizia, lo è
in parte, ma vale anche accettare che gli
altri sono diversi da noi e il nostro punto
di vista è giusto per noi, ma non per tut-
ti. L’altro giorno avevo la febbre e la mia
amica Erika alle 8 di mattina mi ha porta-
to le medicine prima di andare in ufficio,
mi ha mandato un sms alle 6.30 per sape-
re se avevo dormito, è uscita apposta per
andare in farmacia e venire qui. Non mi
ha detto ‘qualsiasi cosa tu abbia bisogno
ci sono’ , aspettando la mia richiesta, mi
ha scritto ‘cosa ti serve?’. È un po› la dif-
ferenza che c›è tra chiedere ‹come stai?›,
che non significa niente, e chiedere ‹come
stai oggi?›. La differenza è sostanziale.
In amicizia vince la quota fiducia, non la
completezza delle informazioni.
di Camilla Ghedini
L’AMICIZIA ADULTA
logia della omosessualità non è stata
ancora chiarita e nessuna delle teorie
proposte (ormonali, psicologiche,
genetiche) ha offerto una risposta
convincente, causa l’intreccio com-
plicato di vari elementi. La dicotomia
etero-omo è dunque scientificamen-
te inaccettabile: “La nostra modalità
conoscitiva sta nell’identificare - idem
facere, ridurre al medesimo - le cose
che ci circondano….chiudendole in
categorie che condividano le stesse
caratteristiche; ma, come mostra la
moderna biologia, e anche il comune
buon senso, le soglie sono plurime e
si compenetrano, rendendo un puro
atto d’arbitrio le pretese di stabilire
un confine netto….Definire le caratte-
ristiche di ciascun evento biologico è
senza dubbio necessario ma solo a
fini classificatori; certo non per ingab-
biare in una definizione rigida quanto
di meno rigido vi è al mondo, ovvero
la vita intesa nelle sue varie forme ed
espressioni biologiche” (ibidem). E
tuttavia la Relatio Sinidy non denun-
cia le leggi persecutorie che esistono
in vari paesi, per tacere della rigidità
dei vescovi africani che hanno pro-
mosso nella loro terra leggi omofobe
che prevedono pene severissime,
compresa la condanna a morte. La
Relatio, infatti, spende poche parole
sulle unioni omosessuali anche se la
loro diffusione e solidità ha costretto
il magistero a riconoscere che “il mu-
tuo sostegno fino al sacrificio costitu-
isce un appoggio prezioso per la vita
del partner”. Forse vale per la Chiesa
cattolica quello che Wittgenstein ha
detto di sé: “Il mio lavoro consiste
in due parti: quello che ho scritto e
inoltre tutto quello che non ho scritto”,
ovvero: il silenzio tradisce l’incapaci-
tà della Chiesa cattolica di trovare
una mediazione fra conservatori e
riformatori, e dunque la soluzione è
stata rimandata a tempi migliori, ma-
gari in attesa del rinnovamento delle
alte cariche, ora ricoperte da perso-
naggi nominati dai precedenti papi.
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