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Numero 1 del 2016

L'utero è mio e....? Maternità surrogata


Foto: L'utero è mio e....? Maternità surrogata
PAGINA 17

Testi pagina 17

15Gennaio-Febbraio 2016
le nostre vite e com’è stato imprevisto il vario percorso di li-
berazione che ancora continua. Un percorso individuale che
cambia il mondo se ci accade insieme.
È accaduto e continua ad accadere che donne si trovino in
gruppo per un progetto comune che si fonda prima di tutto
sul piacere di essere insieme.
Oggi i progetti comuni sono anche lavoro di donne a favore
di altre donne.
Più complicato è trovare un collegamento tra tutti i gruppi per
azioni che possano andare oltre investendo la condizione di
tutte, mutando l’immaginario sociale.
Ormai ci soccorre la tecnologia, ognuna può aprire un blog e
lanciare le proprie parole al mondo.
Ma ci basta davvero?
Oggi esiste un ceto politico femminile cresciuto
all’università, erede degli stessi diritti un tempo
maschili, a cosa serve un’associazione nazionale
politica delle donne?
Eppure se non conosci la tua storia, quella della casa in cui
abiti, delle scarpe che porti, del cibo che mangi, dei diritti che
eserciti, dei privilegi che godi, se non hai parole per la storia
che si snoda dietro di te, sedimentata nel tuo Dna, nelle me-
morie che agisci e che ti agiscono, se non sai da dove vieni,
il tuo futuro ha la durata della tua piccola vita, ed è davvero
poco.
L’accesso ai diritti è uno strato sottile di vivibilità del mondo
pronto a incrinarsi appena dietro di te, sotto i tuoi piedi di
donna se lo percorri con sicumera maschile, se ti tieni stretta
al potere di chi preferisce lasciar affondare molte e molti per
assicurare la propria salvezza, personale e famigliare.
Stiamo scoprendo che quello strato sottile di diritti non era
fatto per sostenere il cammino di molti e le donne sono da
sempre selezionate solo per fedeltà al servizio.
Eppure sotto quella crosta precaria c’è acqua in cui nuotare,
perfino un fondale su cui costruire palafitte sicure per case
e istituzioni da abitare come luoghi confortevoli, senza soffitti
inarrivabili e porte custodite da guardie armate.
Il patriarcato, o comunque si voglia chiamare un si-
stema che utilizza forme mutevoli di classificazione
delle differenze tra i sessi organizzando un appara-
to simbolico e giuridico del dominio, ha superato
indenne la crisi di due grandi sistemi economico-
politici: la società schiavile dell’Impero romano e
il sistema feudale europeo e potrebbe attraversare
indenne, solo mutando forme e definizioni, anche
la crisi del capitalismo.
Come accade?
Nel passato anche cooptando quote di donne a sostegno
del sistema, attraverso l’elargizione di privilegi e la costruzio-
ne di una gerarchia sociale femminile dipendente e/o subal-
terna e/o imitativa del maschile. Vestali, badesse,
casalinghe, governanti, regine, badanti, colf, first
ladies, veline, preziose, escort, mogli, ecc. ecc.
Sono tante le definizioni della complicità amman-
tata di scelta, della servitù paludata dal sentimen-
talismo, della ferocia gerarchica giustificata dal
merito.
Siamo cittadine sulla carta, ma la strada per molte
è ancora lunga e non basterà la vita a percorrerla.
La legge è spesso il filo spinato che protegge
e rinchiude, il muro che garantisce privilegi e
cancella esistenze.
L’imprevisto del presente sono le moltissime don-
ne che oltre ad aver consapevolezza della pro-
pria condizione, hanno anche gli strumenti per
denunciarla e agire una diversa visione della pro-
pria vita e del mondo.
Molte donne dell’Udi continuano a pen-
sare quest’associazione come un luogo
fatto di molti spazi materiali in cui esiste-
re costruendo progetti che vanno oltre il
desiderio.
Ho imparato, nella mutazione del mio esistere come donna,
un desiderio che affonda le sue radici nei luoghi oscuri della
vita che hanno fatto la storia dietro di me e so che ci sarà una
fioritura oltre il tempo della mia vita.
Un desiderio che non può essere esaudito da pochi spiccioli
e un angolo da piccola parvenu alla mensa di una storia che
non parla di noi.
Abbiamo un elenco di questioni da discutere.
Ma ho bisogno ogni giorno di una visione per stendere un’ef-
ficace e utile “lista della spesa”.
Per questo sarò al Congresso dell’Udi, portando colori per
disegnare una visione e ingredienti commestibili per il lavoro
quotidiano di pensare il mondo. b
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