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Numero 6 del 2015

Cibo ribelle - Speciale donne arabe


Foto: Cibo ribelle - Speciale donne arabe
PAGINA 19

Testi pagina 19

17Giugno 2015
La cosa non sorprende se si pensa alla centralità del cibo
nel quadro delle missioni sanitarie di un soggetto come
l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ad
oggi così si esprime: “migliorare le abitudini alimentari non
è prerogativa del singolo individuo, bensì è una necessità
sociale che richiede ormai un approccio interdisciplinare,
multisettoriale e culturalmente adeguato”.
Un approccio del genere, ad esempio, viene dalla natu-
ropatia, propaggine disciplinare della medicina comple-
mentare, o alternativa, che, mirando al riequilibrio della
fisiologia corporea, vede nel cibo il mezzo di rieducazione
ad un bioritmo armonioso, quindi ad un equilibrio psico-
fisico ed emozionale. Correnti del tutto affini sono, inoltre,
l’igienismo e la macrobiotica.
L’igienismo, nato negli States con Isaac Jennings, Syl-
vester Graham e Russell Thacher Trall già sul tramon-
tare del Settecento, fu sistematizzato solo con Herbert
Shelton nel XX secolo. Esso consacra delle leggi com-
portamentali che regolano la salute della specie umana
e inquadrano la stessa entro un campo di dinamiche che
fluttuano dall’ordine al disordine. Un àmbito entro il quale
il corpo umano avrebbe delle notevoli virtù autoterapeuti-
che, trascurate dalla medicina tradizionale per focalizzarsi
esclusivamente sulla terapia del sintomo.
Georges Ohsawa, il principale divulgatore della macro-
biotica, (nato a Kyoto nel 1893) fu un autodidatta giap-
ponese che si pose come intermediario culturale fra
l’Occidente e l’Oriente, e in Europa permise la diffusione
dell’antichissima teoria cinese dello Yin e dello Yang: le
forze antagoniste regolatrici di tutti i fenomeni cosmici.
Ohsawa classificava gli alimenti stessi secondo queste
due forze opposte e complementari. Proprio tramite la sua
classificazione, la macrobiotica (che categorizza il cibo
sulla base di aspetti fisici, chimici e biochimici, ma anche
storici, biologici, ecologici e morali), intende bilanciare gli
apporti energetici riconducibili ai principi opposti, fino a
riorganizzarli entro l’armonia universale.
Come è evidente, il cibo è un grande contenitore di molte
istanze di cambiamento, cui spesso sono sottese ideolo-
gie rivoluzionarie, per quanto pacifiche e silenziose.
C’è, forse, un trait-d’union importante, allora, tra cibo e sti-
le di vita, quindi tra cibo, orto, ecovillaggio e cohousing.
Un sottile filo rosso che collega alcune idee di “decre-
scita”, di ecologia e, più in generale, di armonizzazione
psico-socio-ambientale.
Con questa lente, sembrano unificabili le prospettive ita-
liane, per esempio, di innovazione socio-economica che
riscontriamo, ad oggi, in Piemonte, Abruzzo, Toscana ed
Umbria: regioni capofila e motrici del cambiamento. Se
l’associazione torinese CoAbitare ha già messo in piedi
un efficace progetto di convivenza e timebanking, e l’Eco-
villaggio Habitat toscano ospiterà per il prossimo luglio
il diciannovesimo raduno nazionale della Rete Italiana
Villaggi Ecologici, possiamo forse rintracciare in queste
esperienze, il desiderio di forme di scambio, convivenza e
confronto meno aggressive sul versante socio-economico,
e più coinvolte nelle urgenti questioni energetiche e am-
bientali globali.
Insomma, la parola chiave di questi movimenti sembra
essere ‘l’autosufficienza’ nel benessere materiale e corpo-
reo. Gli ecovillaggi, infatti, così come le realtà di cohousing
già esistenti, vedono nel cibo, un mezzo indispensabile;
nella gruppalità, una risorsa insostituibile, che però sento-
no autentica solo al di là delle leggi di mercato.
“Non si tratta”, dice ancora Latouche, “di sostituire una
buona economia ad una cattiva economia, una buona cre-
scita ad una cattiva crescita, o a un cattivo sviluppo, si tratta
piuttosto di uscire, senza mezzi termini, dall’economia”.?
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