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Numero 6 del 2015

Cibo ribelle - Speciale donne arabe


Foto: Cibo ribelle - Speciale donne arabe
PAGINA 12

Testi pagina 12

10 Giugno 2015
La questione della cura, dei biso-gni cui risponde, delle relazioni
cui dà luogo è al centro da decenni
del dibattito femminista. Se la cura
- ci siamo chiesti - è un ‘attività umana
necessaria e fondamentale perché è
assente dal nucleo dei valori socia-
li e politici e non fa parte integrante
della nostra idea di cittadinanza?
Probabilmente, siamo condizionati
da un’immagine del cittadino che ci
deriva da secoli di pensiero sociale
contrattualista - quello appunto di un
individuo autonomo, razionale, capa-
ce di stipulare patti vantaggiosi con
controparti in grado di reciprocare.
La cura, pertanto, sembra priva di
valore nella vita pubblica perché la
politica viene descritta come un’are-
na in cui si confrontano e si mediano
interessi contrapposti. Ma è ancora
suffi ciente il contratto sociale o oc-
corre pensare ad una visione della
democrazia che integri in sé il valo-
re della cura? E quale può essere il
ruolo delle donne in questa prospet-
tiva? La realtà e la nostra esperienza
ci mettono ogni giorno sotto gli occhi
molte situazioni in cui gli individui non
possono contare sulla stessa abilità
nell’utilizzare le proprie risorse. Bam-
bini, anziani, persone non autosuffi -
cienti, disabili, rischiano di non poter
esercitare quei diritti fondamentali di
cui pure sono nominalmente titolari.
Per questo ci è parso importante ri-
conoscere la centralità della cura e
proporla come valore capace di in-
formare la vita politica e di rendere i
cittadini consapevoli della loro inter-
dipendenza, preoccupati dei bisogni
del prossimo, coscienti della comune
vulnerabilità e, quindi, disponibili a
porsi empaticamente dal punto di vi-
sta altrui. Sbaglieremmo, tuttavia, - ci
siamo detti - a pensare che l’attitudi-
ne del ‘prendersi cura’ sia una sorta
di ‘provincia delle donne’: occorre, a
nostro avviso, da un lato universaliz-
zare i valori del lavoro di cura, legati
per ragioni storiche alla vita femmini-
le, dall’altro ribadire che tale compito
è sostanzialmente accessibile anche
agli uomini che dovrebbero fi nalmen-
te assumersi la loro quota di respon-
sabilità. Come si legge nell’antico
mito narrato da Igino, ognuno di noi è
fi glio di Cura, la dea che forgia l’uomo
dal fango (uomo da humus) e lo pos-
siede per tutto il tempo della sua vita
destinandolo - per riprendere le paro-
le di Heidegger - a “quel modo d’es-
sere che domina da cima a fondo la
sua vicenda temporale nel mondo”.
Sappiamo che i problemi affrontati in
medicina e nelle scienze biomediche
richiedono risposte concrete circa i
diritti delle persone coinvolte e i modi
di allocazione delle risorse.
Se si vuole evitare il rischio di una ‘dittatura degli esperti’ - e
qui la bioetica si apre alla “bio-
politica” - è necessario che siano
adeguatamente rappresentati tutti gli
attori sociali coinvolti: perché le scel-
te legislative siano rispettose della li-
bertà di tutti - valgano come esempi
negativi la famigerata legge 40 sulla
procreazione assistita o la scan-
dalosa mancanza di una legge sul
‘testamento biologico’- occorre che
siano ben visibili le implicazioni del-
le ricerche, i valori in gioco, i costi e i
benefi ci. In molti stati europei si sono
approntate conferenze periodiche ri-
volte alla cittadinanza per diffondere
informazioni e attivare il dibattito pub-
blico sui più rilevanti temi della bio-
etica. Non così nel nostro. A questa
carenza il nostro Istituto ha cercato
di porre rimedio organizzando ogni
anno una Conferenza Nazionale per
le Scuole in modo di fare della bioeti-
ca una parte essenziale della cultura
delle giovani generazioni per prepa-
rarle a maturare una coscienza criti-
ca e, quindi, ad assumere decisioni
consapevoli. Solo così sarà possibile
lavorare per attuare quella ‘democra-
zia cognitiva’ in cui la conoscenza
diventi la base sicura per un’etica
della responsabilità condivisa.?
IDEE
di Catia Iori
Tocca spesso alle donne dover sopporta-re errori e orrori commessi dagli uomini: non so perché, ma è una sconsolante
constatazione. Un dato di fatto. Oltre il novanta
per cento dei crimini, delitti, stragi, genocidi
e misfatti vari, dalla Genesi in poi, sono stati
compiuti da maschi del genere umano. Quanti
atti di violenza femminile ricordate a memoria
d’uomo, voi che mi leggete? Le atrocità com-
piute da donne sono rare, perlopiù ascrivibili
a casi di autentica e conclamata follia. E non
è nemmeno opponibile il nesso tra violenza e
potere, perché sono o diventano violenti anche
i più umili e derelitti fra gli uomini. Sono ap-
passionata di letture antropologiche e questa
mi pare essere una considerazione del tutto
pertinente in questi giorni: il maschio umano,
perché negli animali raramente è così, ha col-
tivato e sviluppato nei millenni la competizione
violenta, il gusto della sopraffazione, la foga
distruttiva in un istinto ferino e maniacale. Noi
donne, in genere, siamo chiamate a raccoglie-
re i cocci e a rimetterli insieme custodendone
l’integrità rimasta e curando con tutte le nostre
forze ogni minimo sussulto di vita. E quindi
come donna, mi sento offesa quando si parla
genericamente dei misfatti dell’umanità attri-
buendo, anche al mio genere, l’enorme baga-
glio di nefandezze compiute dagli uomini. Non
solo, ma ho come l’impressione suffragata dai
fatti, che ogni passo delle donne verso la pro-
pria autonomia rinfocoli la violenza maschile.
È la questione del femminicidio, ma è anche
la questione della furibonda reazione tribale
che l’Islam più retrogrado oppone alla volontà
delle donne di quei paesi di studiare, lavora-
re, viaggiare, guidare la macchina. Ricordia-
mo poi che le società patriarcali non contano
solamente sulla sottomissione delle donne ma
anche sulla loro complicità. Non esiste peggio-
re servitù di quella consenziente perché cal-
pesta completamente il rispetto di se stesse.
Di madri che insegnano alle fi glie a obbedire e
tacere è pieno il mondo. Io ne conosco molte
e non solo quelle di bassa estrazione sociale,
anche quelle borghesi, apparentemente sazie
e tranquille, che devono tutelare il patrimonio
familiare e proteggere il futuro dei fi gli. Nel si-
lenzio di un compromesso continuo. A volte
penso che non riuscirò mai a vedere il compi-
mento del processo di liberazione delle donne
e il crollo defi nitivo della società patriarcale. E
coi tempi che corrono vorrei rinascere tra due
secoli, quando forse il bastone e la paura non
la faranno più da padroni e si potrà convivere
in una società più civile, o almeno davvero civi-
le, passo decisivo per uscire dalla attuale bar-
barie. Che sa di preistoria. Che sa di dolore.
GLI ORRORI
MASCHILI
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