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Numero 12 del 2011

Illuminata umanità


Foto: Illuminata umanità
PAGINA 20

Testi pagina 20

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ILLUMINATA UMANITÀ/Z

ROMA,
LA CASA DELLA MAMMA

I I erchiamo di farle sentire figlie prima, perché pos-
Csano sentirsi madri poi". Se non può definirsi un
motto, certo potrebbe essere la sintesi del loro la-

voro quotidiano. Che Carla Guerra e Lucia di Mauro - rispet-
tivamente Direttrice e Coordinatrice della Casa della Mamma
di Roma - siano donne abituate all’accoglienza, lo si capisce
immediatamente. E che, non a
caso, hanno scelto dimettere al
servizio di altre donne meno
fortunate il proprio lavoro quo-
tidiano in un centro che tenta
di essere, prima di tutto, fami-
glia. Dal giardino della Casa si

intravedono file di carrozzine:

bambini, dall'asilo nido cui sono
affidati dalle giovanissime ma-
dri ospitate nella Casa, mentre
tentano di ricostruire quella
che, a 15 anni, dovrebbe esse-
re la normalità: scuola, studio,
piccoli impieghi. Ma prima di tutto i| duro lavoro su se stes-
se, per comprendere quel ruolo di madre arrivato un po' per
caso, un po' per fatalità. Molto spesso difficile da accettare,
il più delle volte impossibile da gestire. Di queste giovanissi-
me, di età compresa tra i 15 e i 23 anni, la Casa della Mam-
ma ne accoglie sei, insieme ai loro bambini. Qui vengono man-
date dal Tribunale dei Minori o su richiesta dei servizi socia-
li, nella speranza che quella strada dalla quale provengono non
le richiami a sé, condannando all’emarginazione e al disagio
sociale anche i loro figli. Nata nel 1969 con lo scopo di aiutare
le ragazze madri allontanate da famiglie in fuga dallo scan-
dalo, la Casa della Mamma vive ancora oggi, e si è adeguata





allo scorrere del tempo. “Le cose in questi anni sono molto
cambiate - racconta la dottoressa Guerra - nelle giovani sem-
bra scomparso quell'istinto materno che una volta era inna-
to. Sono vittime del modello imposto dalla società e ricerca-
no l'apparenza ad ogni costo: i figli sono spesso un peso im-
possibile da sostenere, vissuti come un ostacolo alla ricerca
della propria affermazione sociale. A volte è complicato, per-
ché quella che proponiamo a queste ragazze è una vita in sa-
lita. Ma è l'unica possibilità che hanno". Anche il centro, con
gli anni, ha attraversato la propria evoluzione. Migliorando ed
avvalendosi dell'aiuto di operatori del settore - psicologi, edu-
catori, assistenti sociali - impiegati a tempo pieno per assi-
stere mamme impreparate al duro lavoro di accudire un figlio,
abbandonate da giovanissimi partner, cresciute all'ombra di
famiglie disastrate nei quartieri di una metropoli che sembra
- non avere posto per loro. Un
percorso di cura e reinseri-
mento sociale individuale arti-
colato lungo diversi anni, per-
ché oltre al vivere meglio il
presente ci possa essere la co-
struzione di un futuro dignito-
so. “Il nostro lavoro si basa
principalmente sulla relazione
‘interpersonale: la fiducia, la
familiarità e l'affetto che que-
ste ragazze non hanno mai
avuto lo trovano qui dentro, e
crescendo imparano a resti-
tuirlo ai propri figli" spiega Di
Mauro, mentre ricorda le storie delle tante ragazze ospitate.
“È un lavoro di lungo periodo, i cui risultati non si vedono che
dopo diversi anni. Ma quando li tocchiamo con mano è un mo-
mento di gioia che da senso al nostro lavoro". Una struttu-
ra, questa, che riceve solo un 30% di contributi pubblici dal
Comune di Roma, ma che sopravvive grazie alla generosità
di donazioni private.
Cecilia Dalla Negra

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I sottofondo costante le voci dei
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Solidarietà tra donne

Quando si parla di solidarietà, c'è sempre il pe-
ricolo di cadere nei luoghi comuni, nel pietismo,
nei buoni, quanto facili, sentimenti. La storia che
mi ha raccontato Tiziana Biolghini, che dirige l'Uf-
ficio Handicap della Provincia di Roma, non ha
nessun connotato di questo tipo. È la storia del
dramma di una donna che si trasforma in resi-
stenza collettiva contro la violenza di uno sta-
to e delle sue leggi, che troppo spesso, sono con-
tro il genere femminile. “Avevo deciso di fare dei
lavori in casa - ci racconta Tiziana - e mi ero af-
fidata a una cooperativa sociale integrata. Dopo
alcuni giorni, un operaio mi confidò il dramma
personale che stava vivendo. La compagna ru-
mena, Alina, aveva appena scoperto dall’eco-

® noidonne | dicembre | 2011

grafia che il bimbo che aspettavano, era un feto
malformato e che, con molta probabilità, non sa-
rebbe nemmeno sopravvissuto alla nascita." È
facile immaginare che una notizia come questa,
sconvolge l'equilibrio di una coppia che vive
l'emozione di una nascita, privandola total-
mente della gioia e della speranza. “Ormai
convinti ad abortire, Alina e il suo compagno ven-
gono a sapere che da due giorni è scaduto il ter-
mine, di ventiquattro settimane, per l’aborto te-
rapeutico. La donna secondo la legge italiana,
deve portare avanti la gravidanza e partorire, no-
nostante il feto potrebbe essere già morto o de-
stinato a non sopravvivere più di qualche gior-
no. A Roma, nonostante le ricerche, nessun me-
dico decide di aiutarla. Ed è così che, io e le don-
ne dell'associazione di volontariato “Un ponte",
abbiamo deciso di fare una colletta e di ac-

compagnare Alina a Barcellona, in Spagna,
dove avrebbe potuto abortire, perché lì la leg-
gelo consente. Le amiche dell'associazione “Un
ponte" hanno tutte chi un figlio, chi un fratello
disabile, e hanno dimostrato la loro grandezza
e la loro disponibilità nell'aiutare una donna sco-
nosciuta." Alina non è stata mai lasciata sola ed
è tornata a Roma dopo l'intervento insieme alle
sue amiche, e adesso vive una vita felice con il
suo compagno. Questa storia ci insegna quan-
to le leggi in questa Italia del primo mondo, sia-
no miopi e operino una violenza sistematica sui
corpi femminili. Di contro, è il racconto di una so-
lidarietà vera, basata solo sulla consapevolez-
za che non lasciare solo un essere umano in dif-
ficoltà, è l'unica possibilità per vivere a pieno la
propria umanità.

Silvia Vaccaro


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