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Numero 4 del 2010

Svelate


Foto: Svelate
PAGINA 15

Testi pagina 15

noidonne aprile 2010 15
listi uomini, quando non apertamente
ostili verso le "prefiche del multicultura-
lismo" (A.Gurrado, Il burkini è provin-
ciale, Il Foglio, 27-8-2009), sembrano
divertiti, come F. Merlo, che tira fuori
immagini di scafandri e di suore, con-
cludendo che "il bikini è più casto del
burkini".
Più esplicito un giornalista su Libero,
che si chiede "se davvero questo burkini,
incrocio islamico di burqa e bikini, non
sia davvero la cosa più sexy e trasgres-
siva dell'estate 2009". È evidente che
una simile attenzione mediatica nei
confronti del velo reca in sé una visione
semplificatrice della realtà: la tendenza
a etnicizzare le immigrate e a ricondur-
le a un'unica rappresentazione co-
struendo una falsa retorica dell'alterità.
La storia della moda ci insegna che il
vestiario cambia in base alle esigenze di
vita ma anche che i simboli del passato,
ritenuti obsoleti, possono diventare no-
vità.
È impensabile quindi che l'emancipa-
zione delle immigrate - se davvero ci sta
a cuore, come quella di tutte le donne -
possa essere conseguita guardando solo
a simboli esteriori. La questione non è
tanto auspicare o meno l'abbandono
dei costumi della cultura d'origine ma-
gari perché richiamano una cultura an-
drocentrica. Le ragioni di chi vorrebbe
vietare o no questi simboli possono es-
sere entrambe valide. E sarebbe interes-
sante cogliere almeno il senso di un'al-
ternativa ideale e l'importanza di un
confronto: in una società in cui la moda
mette tutto in discussione nel giro di
qualche stagione, che senso ha un ve-
stiario che persegue altre convinzioni,
che resiste ai capricci del consumismo e
che chiunque, in teoria, potrebbe confe-
zionarsi? È chiaro che questo va contro
ogni regola di
mercato.
Se in Francia si
chiama in causa
il valore della lai-
cità, in Italia la
questione ha me-
no schermi ed
emerge per quello
che è: un proble-
ma di approccio
con la diversità,
in una società in
cui il contenitore è diventato più impor-
tante del contenuto e in cui l'immagine
della donna deve apparire rassicurante,
omologata, esposta come una merce più
o meno accessibile.
Che l'Altro, tanto caro a Levinas, non
possa essere assimilato preoccupa mol-
ti, o quantomeno disorienta. A costoro
fa paura, giustamente, il fanatismo reli-
gioso, ma non fa paura l'adorazione di
marche e di modelli di vita esasperati,
l'ostentazione di corpi plastificati e mer-
cificati, l'annichilimento dei cuori e del-
le menti?
Che senso ha quando si invita la
donna a spogliarsi continuare invece a
coprire, o persino a nascondere? La que-
stione dei diritti di tutte le donne passa
da altre priorità che questi stereotipi,
presunti simboli di arretratezza o pro-
gresso, di austerità o libertà, con cui si
vorrebbe inquadrarle. Del resto, nessu-
no impedirà a Vandana Shiva di porta-
re un sari o penserà che Benazir Bhutto
avesse problemi a causa del velo. Sareb-
be importante cominciare a guardare a
quello che hanno da dire le donne, e a
come vivono, più che rimanere fermi a
come si vestono.
analisi di uno stereotipo fra in-visibilità
corporea e in-visibilità culturale
concetti e autori di Emanuela Irace
Il Velo dei maschi
"Il velo è la nostra stella di David".
Khalida Messaoudi
Il velo è un luogo dell'anima. Un simbolo che nasconde il corpo. Una cortina che
allontana dal mondo. Metafora di castità e modestia segnala la separazione tra
spazio interno ed esterno. Tra casa e strada, pubblico e privato. Emblema di vigi-
lanza perpetua sul corpo femminile è fattore di identità e schiavitù. Ammaliando il
pensiero, occulta la verità, creando paladine della Tradizione che ne inneggiano
l'uso, o eserciti di oppresse che covano rivolte. Esistono tanti veli quante sono le
donne che li indossano. Ciascuno diverso dall'altro, ciascuno con una propria moti-
vazione e forma: impalpabile come un foulard o pesante come un sudario, il velo
può trasformarsi in uniforme religiosa, scudo protettivo, segno di appartenenza o
prigione. Imposto o scelto, l'uso del velo si incanala tra gli interstizi della com-
plessità islamica, sfuggendo la Tradizione e gli hadith del Profeta, diventa politico.
Strumento di assoggettamento al potere maschile ma anche utilitaristica patente
femminile di partecipazione allo spazio pubblico. E' il solo modo per accedere al
ruolo sociale di A'limat, - ossia quello delle donne "sagge" - trasmettitrici del pen-
siero integralista. Donne che possono dettar legge ai padri e competere con la
gerarchia dei maschi. Una possibilità conferita a chi trasmette il sapere religioso in
un'ottica totalitaria di diretta subordinazione a Dio, in virtù anche di un velo che
diventa simbolo di astuzia femminile, alla Sharazade. Imposto o suggerito dalla tra-
dizione, l'esperienza del velo resta un luogo dell'anima. Un modo di percepirsi nei
confronti del mondo che non abbandona più chi l'ha portato. Misterioso nella sua
origine ancora da esplorare è il velo dei Tuareg, gli uomini blu del Sahara, la tribù
nomade che nasconde il viso con una tela azzurra che lascia scoperti solo gli occhi.
Protezione contro sabbia e vento, ma anche segno distintivo di gerarchia sociale.
E' il velo dei maschi. Marcatore di supremazia in una società matrilineare che sol-
tanto agli uomini ne impone l'uso, lasciando le loro donne, libere di mostrarsi.


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