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Numero 6 del 2010

Spot! Pubblicità & dignità


Foto: Spot! Pubblicità & dignità
PAGINA 30

Testi pagina 30

giugno 2010 noidonne30
Anche avvalendosi di una fervida im-maginazione, sembra difficile pen-
sare a Gaza come ad una galleria nelle
mani dei "writers", uno spazio a cielo
aperto per la scrittura murale. Parlando
con molti di quelli che sono stati a Ga-
za, il primo colore che viene in mente è
il grigio. Soprattutto do-
po la terribile devasta-
zione lasciata da Opera-
zione Piombo Fuso e l'as-
sedio israeliano che im-
prigiona un milione e
mezzo di palestinesi da
quattro anni. Eppure i
graffiti sono creature
danzanti che animano il
deprimente grigio dei
muri dell'area più affol-
lata del pianeta. Cosi li
descrivono le fotografie
di Mia Groendhal, oltre
trenta anni di reportage
e fotografie in giro per il
Medio Oriente. Quella
per i graffiti della Stri-
scia è stata per la fotogiornalista svede-
se una passione tardiva. Solo nel pieno
della seconda Intifada comincia a pre-
stare attenzione alla calligrafia elabo-
rata e colorata che invade le strade e i
viali di Gaza. Mia arriva per la prima
volta a Gaza negli anni novanta, "ma
allora le priorità erano
altre" racconta. Le
sembrava superfluo
analizzare un fenome-
no marginale rispetto
ai più urgenti problemi
della Striscia e dei pa-
lestinesi. Comincia a
fotografarli solo 10
anni dopo, all'inizio
solo occasionalmente
poi con una tenacia e
una scrupolosità quasi
scientifica, i graffiti di-
ventano una lente per interpretare alcu-
ne delle dinamiche che caratterizzano
Gaza. "Quando arrivi la prima cosa che
vedi sono i graffiti" dice Mia, " Non puoi
resistere, sembra che i muri stiano lì a
dirti "Guardaci, Leggici". Mia è partita
dall'arte: ha documentato le evoluzioni
calligrafiche, i ghirigori iridescenti che
affollano le vie, anche dei campi profu-
ghi. Poi si è soffermata sui messaggi, ne
ha decifrato i contenuti. Ha catalogato
i graffiti in slogan politici, in calligrafia
pura. E ancora in messaggi sociali, an-
nunci di eventi comunitari e familiari,
un matrimonio, la morte, l'Haij, il pelle-
grinaggio. Poi le effigi dei rais, i ritratti
degli shaheed, i martiri, cosi vengono
chiamati quelli che sono stati uccisi o
che hanno dato la loro vita per la resi-
stenza palestinese. La scrittura murale
racconta gli umori di Gaza, ne testimo-
nia la tristezza, i dolori, le tragedie, ma
anche la tenacia e la resistenza di un
popolo che sopravvive.
"Un mezzo espressivo che copre tutto
il mondo emozionale, dalla vita alla
morte" dice Mia. Il graffito diventa par-
tecipazione istintiva all'elaborazione di
un messaggio corale. "Quando scrivi
non scrivi solo per te stesso, scrivi per il
partito o la fazione di cui fai parte, per
un amico che si sta per sposare, per ri-
cordare un compagno che è stato ucci-
so". I graffiti a Gaza non sono il frutto
della cultura underground. Già negli
anni Ottanta i palestinesi
usavano i muri per lasciare
messaggi, non c'era Inter-
net, non c'era facebook. Era
un mezzo per comunicare
con la gente, tra la gente:
annunciare scioperi della
fame, appuntamenti, dif-
fondere messaggi politici. Il
graffito era anche propa-
ganda e come il colore della
kefiah anche il colore dello
spray identificava l'appar-
tenenza politica, il verde
per Hamas, il rosso per i
partiti di sinistra, il nero per
Fatah.
Un fenomeno che non è
mai scomparso, né a Gaza
né in West Bank. Durante la prima Inti-
fada i graffitari dovevano fare in fretta,
rischiando di essere arrestati, i messaggi
sui muri erano parte della resistenza
contro l'occupazione Israeliana e di
conseguenza puniti: i soldati israeliani
ordinavano all'intero quartiere di ripuli-
Gaza Strip
Graffiti. Non solo propaganda.
Non solo calligrafia Barbara Antonelli


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