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Numero 6 del 2010

Spot! Pubblicità & dignità


Foto: Spot! Pubblicità & dignità
PAGINA 17

Testi pagina 17

noidonne giugno 2010 17
naggio femminile famoso a confronto
con uno maschile. Oggi è ancora così.
Esiste una pubblicità 'politically cor-
rect'? I riscontri di vendita sono gli
stessi?
Si può essere corretti e vendere molto
più degli altri. L'innovazione vince sem-
pre. Un'azzeccata politica di marketing,
unita ad una buona strategia creativa,
raggiunge sempre il successo auspicato.
Le performance nei test post-campagna
parlano chiaro. La creatività paga.
Spesso in mancanza di idee innovative,
certe aziende banalmente seguono stra-
de già tracciate dai grossi competitor e
si trovano, così, "costretti" a rimediare
attraverso campagne shock o l'uso di
pubblicità trasgressive o volgari. Un ca-
pitolo a parte, invece, è la pubblicità
delle griffe di moda, le quali cercano
proprio nella trasgressione visiva il sen-
so della loro filosofia di marca.
Le delibere che impediscono l'uso del
corpo femminile nelle pubblicità po-
trebbero essere lette come una forma
di censura o di limitazione della li-
bertà creativa?
Le delibere che inibiscono l'uso della
"figura femminile accostata ad un pro-
dotto" rappresentano una gravissima li-
mitazione al linguaggio visivo nella
creatività. Inoltre, devo registrare una
discriminazione, una sorta di "disparità
sessuale al contrario". Stranamente, le
delibere non parlano di abuso nell'uso
del corpo maschile. Come dire che il
maschio può essere accostato libera-
mente a un prodotto, la donna no. "Ma-
strolindo" è ammesso, "Donnalinda" no!
Pensi, ad esempio, che a marzo 2009 un
mio cliente, appena ricevuta
una comunicazione da parte
dello IAP in cui ingiungeva a
desistere dall'utilizzo della no-
stra campagna in corso, per
non incorrere a beghe legali e
amministrative, e nel dubbio
che tutto ciò potesse trasfor-
marsi in una campagna di in-
formazione a sfavore del
brand, interruppe drastica-
mente la programmazione,
mandando in fumo così un
mucchio di denaro già investi-
to. Lo IAP, richiamando l'art. 10 del Co-
dice di Autodisciplina (Convinzioni
morali civili, religiose e dignità della
persona), denunciava che "La struttura
del messaggio trasferisce sulla donna
l'appetibilità dell'alimento, con una
commistione di piani che comporta la
sostituibilità dell'una all'altro e conduce
in tal modo alla pura mercificazione
della persona." Secondo tale principio
non si dovrebbero censurare almeno me-
tà delle campagne pubblicitarie di sem-
pre? E questa è l'altra faccia della me-
daglia.
intervista ad un pubblicitario su tempi,
costumi, consumi, corpi delle donne …
e degli uomini
concetti e autori di Emanuela Irace
Una delibera per insegnare il rispetto.
"Il carattere femminile, e l'ideale di femminilità su cui si modella,
sono prodotti della società maschile. L'immagine della natura
indeformata sorge solo nella deformazione, come antitesi di que-
sta. Là dove finge di essere umana, la società maschile educa
nelle donne il proprio correttivo, e rivela, attraverso questa limi-
tazione il suo volto di padrone spietato". Adorno
E' il tempo che avvicina l'adolescenza, gli ormoni saettanti sotto le magliette, e
quell'odore inequivocabile sui calzini che non lascia scampo all'immaginazione. La
scoperta avviene all'improvviso, mentre dalla solita vocina di nove anni arriva l'au-
tocertificazione necessaria, e parole che non vorrei: "Mamma nella mia camera ci
sono troppe bambole…e con la carrozza e il letto di barbie non ci gioco più, posso
metterle nello stanzino?". Dallo stanzino alla cantina, nuovo spazio da riempire per
chiudere il capitolo con l'infanzia. Ora mia figlia si lava le ascelle, indossa l'appa-
recchio, cambia i calzini, e nota particolari che da adulti diamo per scontati.
Abituata a svestirsi solo in spiaggia, si meraviglia per i tanti corpi balneari che
anche in pieno inverno impazzano su tv e giornali. Le spiego che anche questa è
una forma di colonizzazione, e non è un caso che immagini succinte e ammiccan-
ti, siano quasi esclusivamente femminili. Le racconto che in questo periodo stori-
co il mondo funziona così. Le donne continuano a essere oggetti - più o meno pre-
ziosi, più o meno rispettati - ma sempre costrette in canoni di estetica e consumo
inventati da maschi. Le dico che esistono molti modi per impedire tutto ciò. Come
per esempio spostare il problema dall'interno all'esterno, ossia dall'individuo alla
società, attraverso leggi che impongano codici di comportamento e cultura unifor-
mata come maestre a scuola. Mi chiede che significa. Taglio corto dicendo che non
puoi fare una multa per come ti vesti o ti svesti. Mia figlia insiste: "significa che si
potrebbero fare multe anche a chi è troppo stupido o troppo bravo?". Significa che
a Varese hanno fatto una multa di 500 euro a una donna musulmana che indossa-
va il burka. E domani la potrebbero fare a chi indossa minigonne o scopre il decol-
té. Significa che il pubblico entra nella sfera dell'individuo pesantemente, unifor-
mando modo di vestire o svestire. Le delibere di genere adottate dai Comuni su
risoluzione del Parlamento Europeo nel 2008, potrebbero rientrare in quest'ottica.
Tra censura e volgarità scelgo la seconda. Meglio le immagini ad uso dei maschi,
che il contrabbando di politiche di Genere per la parità tra i sessi imposte dall'alto
e rispettate per ipocrisia.


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