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Numero 7 del 2011

Andamento lento


Foto: Andamento lento
PAGINA 50

Testi pagina 50

riamente ricorrere al nome scrit—
to in copertina. Nella poesia

italiana contemporanea, dove
G allo stile si preferisce la serialità



di scritture conformi al giudizio





























di critici ed editori dominanti,
la figura di Lidia Are Caverni
brilla per una precisa ricono—
scibilità del verso, nonostante
il ricorso ad una liricità che si
abbevera a grandi sorsate alla
tradizione. Si tratta di testi dalle
sonorità classiche, sontuose e
brillanti, ottenute dall’abile sfrut—
tamento degli strumenti della
retorica, senza necessariamente
utilizzare la metrica, ma prefe-
rendo in ogni caso una misura
dispari del verso. Ne emergono
poesie compatte, “rettangoli di
versi [che] costellano la pagina
bianca” per usare la felice
espressione di Giuseppe Panella,
nei quali la natura ha un posto
di primo piano. Fra fruscii som—
messi, schiocchi, colori e ombre
tra le nubi e le fronde di un
bosco, la Caverni rivive in ogni
pagina lo stupore e l’epifania
naturalistica, in una dimensione
all’apparenza elegiaca e memo—
riale. All’apparenza, perché la
poetessa coglie sempre nella

noidonne I Luglio—agosto | 2011

LIDIA
ARE CAVERNI

o stile non è altro che il modo con il quale la mano
impugna lo stilo, in tempi moderni la penna. Ognuno
00 lo fa in modo diverso, a dispetto degli sforzi di

insegnanti che, nel passato, ad una penna tenuta male
opponevano la bacchetta. Lo stile è Ciò che rende chi scrive
immediatamente riconoscibile da chi legge, senza necessa-

NEL BOSCO SACRO
DELLA PAROLA

POESIE DALLE SONORITÀ CLASSICHE,
PIENE DEL RESPIRO NOTTURNO

DELLA NATU RA

di Luca Benassi

Danza se vuoi alla luna danzavano
ancbe i conigli nelle notti d’estate

fra le radure dell’erba ora sorge l’alba
furtivo potrai vedere il mio volto il pallido
emergere dal sonno parleranno altre
parole tese nell’abbandono vedrai come
il giorno splende cbiuso nel suo cbiarore
il suo affacciarsi di rosso fuoco fra i tetti
i canali i passi cbe cauti rolcano la via
gli uccelli cbe cantano il rilenzio.

Avevamo smarrito ce lo avevano detto
una volta l’incanto del bosco le canzoni
ritrovate di uccelli il sorgere del sole
l’alba quieta fuggitiva lungo il pendio
dietro le cime dei monti uno sfolgorio
di luci e ombra cbe rallegravano il cuore
a est si vedeva la luce incatenata all’ultimo
spiccbio di luna perle si diflondevano
sui rami sui fili d’erba boccbe di rugiada
nelle frescbe radure.

Sul mare tramonta la luna altri

raggi brilleranno di fulgori i pesci
cercano quiete addormentati nel breve
sonno presto i fondali fremeranno

di vita non serve cercare le cavita
sommerse le montagne cbe aguZZe

si ergono aprendo infinite voragini
vallate dove bisbigli formano parole
cbe non potrai udire fatte solo d’ombra
cbe le stelle marine trasportano

fino al tuo cuore.

natura l’occasione per una riflessione (dolorosamente) esi—
stenziale, basata sulla vita quotidiana. Ecco allora una natura
a tratti leopardianamente discosta e assente, notturna,
ossificata come un deposito di fossili dai quali trarre l’osser-
vazione di dolori e passioni ormai calcificati nel ricordo. La
Caverni abita e riabita la foresta sacra del proprio esistere,

alla ricerca dei porti e delle radure nei quali
sostare in equilibro fra un montaliano “male
di vivere” e una consapevolezza umana e let-
teraria che rasenta una compiuta felicità.
Lidia Are Caverni, nata a Olbia, risiede a
Mestre. Ha pubblicato 21 libri, di cui 13 di
poesia e 7 di narrativa più un volumetto di
considerazioni pedagogiche sul linguaggio dei
bambini della scuola elementare. Svolge attività
di formazione di lettura e scrittura nelle scuole.
Collabora con diverse testate cartacee e on-
line. Fra gli altri si sono occupati di lei: Giorgio
Linguaglossa, Walter Nesti, Pietro Civitareale,
Giuseppe Panella, Anna Maria Robustelli.

Sapeva di grano il tuo sorriso

un sapore dolce cbe la saliva

mutava eravamo ogni volta pellegrini
d’estate come fosse la prima volta

la lenta carezza lungo i fiancbi

cbe ancora non diceva desiderio

il papavero rosso guardava scbermaglie
il discendere della sera tra il tepore
dell’erba tenera come una culla.


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