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Numero 10 del 2014

Occhio alle (De)Generazioni


Foto: Occhio alle (De)Generazioni
PAGINA 21

Testi pagina 21

19Ottobre 2014
LA MEGLIO
GIOVENTù
SOLA
E DEMOTIVATA
di Tiziana Bartolini
uNA SOCIeTà NARCOTIzzATA
INCApACe DI ReAgIRe e Che
CONSIDeRA gIOvANe ChI hA DAI
veNTI AI quARANT’ANNI. CReSCONO
Le DIffeReNze peR Le OppORTuNITà
TRA Le DONNe COLTe e queLLe
DeLLe fASCe SvANTAggIATe.
LA pAROLA ALLA SOCIOLOgA
KATIA SCANNAVINI
OCCHIO ALLE (DE)GENERAZIONI | 4
Sul tema delle relazioni tra le generazioni abbiamo chiesto un contributo alla sociologa Katia Scannavi-ni, attualmente Docente a contratto presso il Diparti-
mento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università
La Sapienza di Roma.
Si dice che se i giovani sono senza futuro la colpa è de-
gli adulti che hanno fatto crescere il debito pubblico e
continuano a divorare risorse, che occupano spazi e non
mollano il potere. Ma perché chi è così pesantemente de-
fraudato non reagisce, non protesta?
Recentemente ho condotto alcune ricerche per indagare al-
cuni specifici temi relativi alla condizione giovanile. Ho quin-
di avuto la possibilità di entrare in contatto con molti giovani
e giovanissimi e soprattutto ho avuto
modo di chiedere direttamente loro
qual è l’idea che hanno del futuro. Nel-
la maggiore parte dei casi mi hanno
risposto che non riescono proprio a
vederlo: non osano immaginarlo. Non
hanno speranze, vivono appiattiti nel-
la condizione presente, cercando di
rispondere alle esigenze contingenti.
Non sanno cosa aspettarsi dal futuro.
L’incertezza pervade le famiglie, che non riescono ad avere
sicurezze e quindi a prospettare delle possibilità future, nep-
pure per i propri figli. Avere speranze e pianificare delle op-
portunità nasce anche dalla volontà di migliorare la propria
condizione rispetto a quella dei propri genitori, ma la fiducia
verso quello che potrà essere è venuta meno. Il timore è un
sentimento diffuso nelle famiglie e le paure dei figli non di rado
sono anche quelle dei genitori. I giovani, inoltre, sono sempre
meno consapevoli dei propri diritti. È venuto meno l’impegno
per la salvaguardia della dignità di ogni individuo e in una so-
cietà dove l’individualismo è portato all’esasperazione (anche
a causa di un mercato del lavoro iniquo e clientelare) è ben
difficile unirsi ed elaborare forme di proteste anche sulla base
di sentimenti comuni, quale appunto può essere la rabbia e
la delusione per non potere rivendicare le proprie aspettative.
Nonostante la crisi economica penalizzi molto i giovani
anche con una percentuale di disoccupazione stratosfe-
rica non vediamo un conflitto generazionale né un’agita-
zione sociale o un malcontento. Oppure qualcosa cova
sotto la cenere?
Il malcontento è diffuso e taglia trasversalmente diverse ge-
nerazioni. La questione non è tanto tra chi è più giovane e
chi lo è meno, ma tra chi ha gestito le politiche e chi ha
subito una serie di decisioni. La classe dirigenziale, impren-
ditoriale e politica italiana ha perso di spessore, di qualità.
Tra le ragazze e i ragazzi lei riscontra differenze, per
esempio, negli atteggiamenti rispetto agli eventi della
vita oppure nella capacità o volontà progettuale?
Sono ormai diversi gli studi e le ricerche dove si evidenza
come le giovani italiane riescano a raggiungere risultati for-
mativi più qualificati rispetto ai colleghi. Se penso al contesto
accademico effettivamente le studentesse sembrano essere
maggiormente determinate e con la voglia di raggiungere
un risultato. Teniamo però presente che si tratta di una popo-
lazione specifica e circoscritta. Diversa è la situazione se si
prendono in considerazione, ad esempio, tutti quei giovani
che vivono in aree periferiche o comunque con maggiori dif-
ficoltà. Ebbene in questo caso, le ragazze e le giovani don-
ne vivono ancora nell’ombra e hanno difficoltà ad affermare
le loro aspirazioni o solo anche i propri desideri.
In generale i e le giovani tra i venti e i quaranta anni non
sembrano affrontare il mondo con grinta. Ma neppure
con l’entusiasmo di chi è consapevole di vivere in un’e-
poca di grandi trasformazioni. Qual è la ragione?
In primo luogo va detto che qualche anno fa non ci sarem-
mo sognati di mettere in un’unica categoria generazionale
persone con venti anni di differenza. A dire quindi che già
per questo dovremmo riflettere in modo più approfondito sul
concetto di gioventù e su come si sia modificato l’immagina-
rio collettivo, così come gli stili di vita. Detto ciò, gran parte
della società sembra effettivamente essere narcotizzata: c’è
chi è disorientato e stordito dalla mancanza di punti di riferi-
mento; chi anestetizzato dai facili slogan; chi ancora ormai
appare insensibile davanti alle difficoltà condivise. ?


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