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Numero 9 del 2007

Dolce attesa ... o malattia?


Foto: Dolce attesa ... o malattia?
PAGINA 12

Testi pagina 12

Se il mondo - le persone, le relazioni,gli equilibri, le culture, l'economia, le
tecnologie - è in un continuo e sempre
più rapido divenire, l'apprendimento de-
ve trovare/provare nuove strade, ade-
guate a rendere comprensibile ciò che
accade. "L'aumento della diversità com-
porta l'aumento della complessità" scri-
ve Patrizia Politelli nel suo ultimo libro
"Accade che impariamo" (ed Anicia,
pagg 117, Euro 16,00) osservando che
occorre una "re-visione ed una ricollo-
cazione di tutto il nostro impianto co-
noscitivo". Se la prospettiva è quella di
una 'auto-educazione permanente', allo-
ra è "indispensabile rendere permeabili i
propri confini ed educarsi all'inatteso".
Il percorso che la Politelli propone den-
tro ai significati e ai problemi dell'ap-
prendimento è affascinante nello stile e
nelle modalità: attraverso l'esame di pa-
role/concetti (ostacoli, condizioni, espe-
rienza, dialogo, precarietà, soggetti) so-
no analizzati i passaggi, complessi, che
l'apprendere richiede. L'autrice scanda-
glia anche il rapporto maestro/allievo,
partendo dal presupposto che "maestro
è colui che sa creare la capacità di desi-
derare un apprendimento" suscitando
"non stupore o ammirazione per sé" ma
guidando "verso la meraviglia". Il libro è
spunto per mettere a fuoco con Patrizia
Politelli, insegnante di filosofia, alcuni
problemi che attraversano la scuola ita-
liana. Una crisi che sempre più appare
'esistenziale' e sempre meno legata alla
dimensione normativa.
Lei osserva che la precarietà (dei sa-
peri, del lavoro, sociale, della comu-
nicazione) produce "un mondo di
precari, inesperti, irresponsabili" e
una frammentazione che alleva ge-
nerazioni "analfabetizzate solo in
grado di eseguire operazioni sempli-
ci". Un superficialità destinata a fa-
re molti danni perché produce "un
mutamento instabile al posto di una
solidità nel mutamento". Quali stru-
menti ha la scuola per intervenire?
Deve smetterla di pretendere di riem-
pire il tempo dei giovani (con l'idea sot-
tesa che debbano sempre essere sotto tu-
tela e tenere occupati con le più varie
nozioni ed una miriade di attività) co-
me se si temesse che non possano più fa-
re nulla da soli. Recuperare il tempo del-
la riflessione e della sedimentazione del-
lo studio e ridefinire di nuovo quello che
è proprio della scuola e quello che è pro-
prio del mondo, dei familiari, etc.. La
scuola è diventato un Moloch che tutto
comprende e di tutto è responsabile:
dalla matematica, al latino, alle lezioni
di bridge, al volontariato. Che senso ha
rendere economiche (attribuire cioè cre-
diti a) esperienze libere, che si fanno per
propria scelta, responsabilità e piacere.
Se ne snatura il senso e si spinge ad una
frenesia fogliettistica (attestati di tutti i
tipi) che favorisce conoscenze momen-
tanee e disaggregate ed allontana dalla
cultura (che è stare sugli argomenti, ap-
profondirli, farli propri).
Lei scrive: "Per imparare dobbiamo
essere spinti dal desiderio e dalla
speranza" muovendoci con "umiltà,
serietà e moderazione". I modelli che
i giovani inseguono - 'belli e dannati'
quando li vediamo vittime di droghe
e alcol, oppure impegnati in progetti
di affermazione individuale - sono
lontanissimi da quello che lei sostie-
ne. Sembrano dimensioni estranee
alla scuola. Che ne pensa?
Che le ragazze ed i ragazzi hanno fa-
me di senso, e che, se trovano interlocu-
tori all'altezza delle loro domande, non
si perdono. Alcuni cercano di riempire il
vuoto seguendo idioti modelli lanciati
ormai dovunque: successo e denaro fa-
cili sono le proposte che trovano con
maggiore facilità.
Ma essere consapevoli della propria
crescita e della propria conoscenza,
partecipare alla propria formazione e
sapere che costa fatica è il compito che
ciascuno deve assumere su di sé e che la
scuola deve insegnare. Molti provano
ancora a farlo anche se non se ne han-
no tracce nei media.
"L'esser maestri è un dono, non è in-
segnabile". Allora i buoni maestri so-
no pochi?
Per fortuna ci sono ancora in giro
delle magnifiche maestre ed eccellenti
maestri (mi riferisco a diversi piani di
insegnamento ed a differenti epoche del-
la vita di ciascuno). Solo che spesso non
li sappiamo riconoscere, magari ci ac-
corgiamo molto dopo dell'importanza
che hanno avuto per noi. Tornando alla
scuola, la svalutazione sociale (misura-
bile nel disconoscimento della funzione
e nella non adeguata retribuzione) degli
insegnanti, porta, talvolta, loro stessi
ad introiettare questo disvalore. Credo
davvero che la cosa più importante che
i docenti possono fare in questo mo-
mento sia quella di riappropriarsi sog-
gettivamente della consapevolezza del-
la portata del loro compito e del ruolo
insostituibile che interpretano: educare
e formare nuove generazioni.
Certo in questo campo le parti in
causa ormai sono molte, ma i buoni
maestri possono contribuire a costruire
l'ossatura di persone libere e creative:
capaci di vedere con i propri occhi e
camminare con le loro gambe.
settembre 2007 noidonne12
Imparare, che meraviglia!
Intervista a Patrizia Politelli
a cura di Tiziana Bartolini
la scuola e l'apprendimento,
un binomio da ri-costruire


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