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Numero 11 del 2012

Futura: Il domani che è tra noi / 3


Foto: Futura: Il domani che è tra noi / 3
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Testi pagina 7

tando la barriera di violenza e di villania delle rabbie con-
tinue di maschi e femmine contro la politica e le istituzio-
ni: così viene inibito qualunque “partire da sé” in funzio-
ne di un qualunque bene comune. Chiedere di contare quan—
do il significato della rappresentanza si è liquefatto nella ri-
mozione autodistruttiva di Parlamento e istituzioni costi-
tuzionali rende problematico un “femminismo” che da die—
ci anni almeno ha percepito la cancellazione del proprio
nome: nella corruzione italiana dire che “le amministratri-
ci sono più oneste degli uomini” non significa altro che de—
finirsi “una risorsa”. La sessualità e la corporeità da cui par-
tiamo (e dobbiamo partire) restano, oggi, separatismo e con-
traddicono la richiesta di autorità. Non abbiamo neppure



più il lavoro e non poche lo lasciano perché non riescono
a pagare una badante per un genitore invalido.

Il tempo per “negoziare” c’è stato, ma molte erano le teo—
rie, nessun capitolo analizzava una “politica” femminista al-
ternativa ad Aristotele. Le magistrate stanno diventando mag-
gioranza nei tribunali, ma il diritto ci ospita come persone
indifferenziate e l’omicidio esclude la יִgura specifica del fem-
micidio. Le sindache applicano leggi neutre ed erogano qual-
che sostegno ai gruppi femminili, senza essere impegnate
a confrontarsi sulle strategie e le priorità del Comune. La
radicalita femminista o si fa proposta concreta o non rea-
lizza le proprie aspirazioni.

Tutti in perdita, allora, anche questi nuovi tentativi? direi
proprio di no. Basta rendersi conto che una vera “politica
femminista” non l’abbiamo mai studiata veramente “per
cambiare il mondo”. Che ci sia la crisi non è una ragione
per non incominciare. Anzi. I



DISSIDENTI IN VATICANO

| rapporti delle donne con la Chiesa hanno
visto spesso delle vivaci “dissidenze”. Ai
tempi del Vaticano | (1869-70) alcune don-
ne fecero addirittura parte di un “anticon-
cilio" di liberi pensatori napoletani. Nel
l964/‘65 la Chiesa, finalmente (anche se le
forme dell’accoglienza non sono state un
gran che) ha reso alcune di noi, come dice
Adriana Valerio (“Madri del Concilio”, Ca-
rocci editore, 2072, 76 euro), “madri del Con-
cilio", il Vaticano Il.

La cosa può interessare tutte perché non si
tratta della solita maternità simbolica, ma di una strana com-
parsa di 23 uditrici, in una tribuna riservata, a fianco, dietro, sot-
to, sopra l’aula conciliare (che era San Pietro).

Adriana Valerio ci racconta maliziosamente che la nomina, vo-
luta dal Papa Paolo VI, si realizzò con tale lentezza per l'evidente
opposizione della Curia (sempre fissa al “Velate facciano” di san
Paolo) che I' 8 settembre 1964, quando il Pontefice rivolse loro
il saluto di accoglienza, le interessate... non c'erano, perché gli
inviti erano arrivati tardi.

Quando le 23 donne arrivarono, è chiaro che lasciarono il se-
gno; ma il maschilismo imperante non ne trasmise la memoria
e quasi nessuno ne sapeva nulla fino a questo libro, fatto con
ricerche pazienti sia nell'archivio vaticano sia nelle memorie te-
nute dagli ordini religiosi. Delle suore, tutte superiore di con-
venti, vale la pena di ricordare Mary Luke Tobin, Suzanne Guil-
lermîn e Cristina Estrada. La prima esclamò, quando l’avverti-
rono, che poteva partecipare alle sessioni che riguardavano le
donne, “Bene, allora a tutte" e, quando il Papa inviò un mes-
saggio a “tutte le categorie comprese le donne", lo contraddisse:
“Le donne non sono una categoria....Uomini e donne sono la
Chiesa". Per la Guillemin, che pur era una contemplativa, la via
per andare a Dio stava nell’azione, condannava l’immobilismo
ecclesiastico e tolse dal capo delle sue suore vincenzine l’in-
gombro delle grandi ali inamidate, invitandole ad essere “prin-
cipalmente donne”. Cristina chiariva che per le religiose i tem-
pi non erano più quelli di una volta: “le mie non sono suore che
passano la vita a pregare chiuse nelle mura del loro convento".
Le laiche non furono da meno: la Parentelll, vedendo le auto lus-
suose che portavano i cardinali ripeteva l'interpretazione che
molti romani davano alla targa SVG del Vaticano: “Se Cristo Ve-
desse”; si irritò per l'androcentrismo persistente e se ne andò
prima della fine. Rosemary Goldîe, quando un padre concilia-
re paragonò le donne alla delicatezza dei fiori e ai raggi del sole
(sic), intervenne: “Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vo-
gliono è essere riconosciute come persone pienamente uma-
ne". Luz Maria Longoria Gama, - che partecipò al Concilio con
il marito, lui pure uditore, determinando insieme l'inserimento
dell'amore nelle finalità del matrimonio - era manifestamente
ostile alla definizione cattolica del fine matrimoniale come re-
medium concupiscentiae e disse che lei aveva avuto molti figli,
ma concepiti solo nell'amore: “con tutto il rispetto, signori pa-
dri conciliari, vi dico che le vostre madri vi concepirono senza
questo timore della concupiscenza”. La Pilar Bellosillo, quella
due volte respinta dalla tribuna a cui era stata delegata, par-
tecipò anche al Sinodo del 1973 e, con altre quattro colleghe,
delusa, minacciò le dimissioni: la Chiesa del clero continuava a
non voler capire. E, infatti, il messaggio alle donne di Paolo VI
a conclusione del Vaticano || è un florilegio del vecchio ruolo.
Comunque loro ci hanno provato.

ADRIANA VAI l'IìIO

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, m , —,4.

Giancarla Codrignani

ADRIANA VALERIO,
“Madri del Concilio",
Carocci editore, 2012,16 euro

noidonne | novembre—dicembre | 2012



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