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Numero 3 del 2012

D come differenti


Foto: D come differenti
PAGINA 43

Testi pagina 43

veva su una terra ricca. Provengono da un
mondo statico, sempre uguale a se stesso, con
un calendario senza ore e un orizzonte irrag-
giungibile. Proprio dentro quello spazio an—
gusto si consumano le prime antitesi: Lia so-
gna la città, la scuola (dove s’impara a non es-
sere contadini), le fabbriche e vuole diventa—
re una cassiera, con lo smalto rosso sulle lun-
ghe unghie, mentre la madre ha sempre le un-
ghie sporche e spezzate. Ama lo zio Luciano, che fa l’ope—
raio in una fabbrica d’automobili in città e che è un par-
tigiano. Rachele adora, invece, il nonno, che la prende sul-
le spalle per farle vedere l’uomo “che parlava in nome di
tutto il popolo” (Cosa dice nonno? “Quello che è giusto
e quello che è sbagliato”) ed ammira il padre che con la
sua “divisa” appena stirata dice a lei e ai suoi fratelli: Sia—
mo un grande paese adesso che abbiamo uno che ci sa gui-
dare, e si fa rispettare.

Inizia la guerra, con i suoi bombardamenti, stragi, rap—
presaglie, e con il suo incubo delle violenze e degli stu-
pri, l’altra faccia della “guerra al femminile”. Lia si
trasferisce in città e lavora come commessa. Cerca lo zio
Luciano, scomparso all’improvviso, e per questo è pedi-
nata dalla polizia politica. Una sera, nell’androne di un
portone, viene stuprata da un camerata che diventa il suo
primo amante (Mi prese nelle mie grida e nel mio san-
gue. Fingeva di violentarmi ogni volta che facevamo
l’amore, solo così riusciva ad eccitarsi veramente. Ero la
sua preda, la sua prigioniera. (. , .) Era quello l’amoreP).
Rachele resta in campagna. Un ragazzo sfollato dalla
città la mette incinta e la sposa. Naturalmente in chiesa.
Da quel momento, Rachele non vede più la sorella (Fu
una grande festa. . .mancavano solo mio padre, lo zio Lu-
ciano”, e mia sorella).

Trascorrono gli anni. Lia vive ancora in città. Anche Ra-
chele si è trasferita nella metropoli. Abita in un apparta-
mento e ha tre figli. Un giorno Rachele contatta la sorel—
la. Nel corso della telefonata emergono memorie d’infanzia.
Rachele cerca, invano, di ricucire lontane crepe. Si ri-
presenta la distanza incolmabile delle due donne: Rachele,
moglie e madre, vagheggia nostalgicamente un passato fa-
miliare fatto di “eroi” (. . .lo zio è stato un grand ’uomo,



un eroe. Come il babbo d’altronde, anche se sul fronte
opposto). Lia, ora affermata imprenditrice, rimarca la di-
stanza (Abbiamo così tanti “eroi” in famiglia? (, . .) I0 pen-
savo che gli eroi stessero da una parte sola, dall’altra ci
sono quelli che sono morti e hanno ucciso per errore, igno-
ranza, paura, malvagità. (...) Io ricordo soltanto la distanza
che ha separato mio padre e suo fratello Luciano, perché
è in quella distanza che loro sono vissuti, è di quella di—
stanza che sono morti). Di nuovo, Rachele (Sono tutte mor-
ti sbagliate, e irrimediabili). Lia ribatte: è stata una
guerra di odio civile, che non si è fermata, che si presenta
anche oggi in modo “più sopportabile”. Normale. È di-
ventata più “educata ”, con il nostro consenso quotidia—
no e la nostra spontanea indifferenza...”

Due anime in perenne tensione. Una ripiegata su una vi-
sione onirica del passato, “immemore” delle miserie e
brutture che appartengono a società pre-industriali dal
dominio maschile assoluto. L’altra che “non dimen-
tica”(Io ricordo soltanto la distanza che mi ha sempre
separata da voi, perché io sono quella distanza): odia la
terra, nega le sue radici contadine, s’immerge con cinica
accettazione nel crudo presente e guarda sprezzante al
futuro. Nella loro ambivalenza, Lia e Rachele mostrano
le due facce di una stessa medaglia, sono le portatrici di
una ferita forse insanabile, la stessa da cui è nata la no—
stra Democrazia.

Il finale è “amaro”. Tuttavia, la pièce teatrale è un mo-
nito, attualissimo, contro il pensiero unico e domi—
nante. La democrazia incarna la dialettica, è “arte” del
dialogare, del riunire insieme. A questo scopo, il con-
tributo delle donne nella costruzione della democra—
zia è fondamentale.

Il loro percorso, storicamente assoggettate al padre
prima e al marito poi, ha costituito uno scatto in più
verso l’affermazione della libertà. Ha significato lot-
tare per costruire la democrazia con la coscienza del
proprio essere.

Nell’epoca presente, di fronte all’indebolimento, se non
alla scomparsa, delle mediazioni, le donne possono di-
mostrare che è possibile uscire da una posizione passiva
davanti alla sofferenza e all’esclusione. Possono essere
portatrici di pace e di costruzione di una “dimora” in
cui abitare tutti insieme. Hannah Arendt direbbe un
mondo comune, una forma del convivere fondata sul ri-
spetto e sul riconoscimento dell’altro, che sono i prin-
cipi base della democrazia.

Le ultime parole le riservo per ringraziare l’attrice Ema-
nuela Villagrossi, sensibile, umanissima, che con grande
capacità espressiva e competenza ha interpretato i due
personaggi, dialogando con se stessa, grazie all’uso sulla
scena della tecnologia multimediale.

noidonne I marzo I 2012 41


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