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Numero 3 del 2012

D come differenti


Foto: D come differenti
PAGINA 27

Testi pagina 27

porto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con
un contratto collettivo nazionale lavoro. Essi, se si tro-
vano in aziende con più di quindici dipendenti, sono tu-
telati contro i licenziamenti illegittimi anche con la
possibilità della reintegrazione (art.18). In caso di crisi
aziendale e produttiva hanno, in molti settori, la cassa in-
tegrazione. Hanno diritto all'assicurazione contro le ma-
lattie e gli infortuni, alla tutela della maternità,
all’indennità di disoccupazione, ecc. Dall'altro, c'è tutta la
galassia di lavoratori comunque dipendenti, lavoratori a
termine, collaboratori à progetto, finti consulenti, che
hanno poche, a volte nessuna, delle tutele descritte. Ul-
timi, i lavoratori in nero, che non hanno alcuna forma di
contratto (neanche atipico). Per non parlare del diritto
alla pensione. Spesso si tratta di lavoratori immigrati, co-
stretti, nei casi più gravi, in condizioni di semi schiavitù,
come nelle vicende di Castel Volturno o di Rosarno. Inol-
tre. Se fosse vero che i datori di lavoro preferiscono i rap-
porti di lavoro atipici per evitare la mannaia dell'articolo
18, i lavoratori precari nelle piccole aziende (dove esso
non si applica) dovrebbero essere pochissimi. Non è così,
come è noto. Anzi, nelle piccole aziende i precari sono
percentualmente più numerosi. Battere la precarietà è
possibile con misure che riducano l'abnorme numero di
tipi di contratto di lavoro, col rendere il lavoro a tempo
più costoso per le aziende e più remunerativo peri lavo-
ratori, e ancora estendendo gli ammortizzatori sociali,
abrogando le norme più odiose delle leggi sull'immigra-
zione, ispirate a criteri che si possono definire xenofobi,
se non razzisti. Come quella che lega strettamente il per-
messo di soggiorno ad un rapporto di lavoro.

Cosicché l'immigrato regolare che perda il lavoro, anche
temporaneamente, diviene in automatico clandestino.
Com'è evidente, la causa di questa distorsione e del con-
seguente dualismo del mercato del lavoro non risiede
certo nell'articolo 18, che è solo una delle tutele previste.
Il dualismo si origina nelle eccessive forme possibili di
modalità di assunzione, negli insufficienti controlli da
parte degli ispettori del lavoro, nella mancanza di un si-
stema universale di ammortizzatori sociali, ed ancor più
in un sistema che ha svalorizzato il làvoro e 'investito' nel
taglio del suo costo come soluzione per mantenere le
aziende in equilibrio finanziario. Per tutte queste ragioni
è un'ipocrisia dire che si potrebbe abrogare l'articolo 18
difendendo comunque i lavoratori dai licenziamenti di-
scriminatori. Eccetto casi clamorosi ed evidenti, se il da-
tore di lavoro potesse licenziare senza dover motivare
questo atto, non sarebbe certo facile dimostrare che il
vero motivo è una discriminazione. E persino i colleghi
del licenziato, intimoriti, avrebbero difficoltà a difenderlo
testimoniando la verità. I

AI MARGINI

diAlida Castelli

— V

ANDATA
E (TRAGICO) RITORNO

hi di crisi economiche ne ha viste altre, sa che di fronte alle
Cemergenze la prima cosa che rischia di saltare sono i diritti
conquistati nel mondo del lavoro. Si possono perdere, sosti-
tuiti da più avanzati equilibri che dovrebbero dare frutti migliori in
un futuro prossimo, ma si possono perdere e basta.
Sta al potere di contrattazione, alle lotte, scegliere quei diritti che
non sono “negoziabili".
Per chiarire, ci sono diritti cui non si può prescindere, pena l'usci-
ta dal mercato del lavoro e/o la non rientrata, ma anche la non pos-
sibilità di entrarci mai.
Alcuni diritti sono effettivi altri, pur effettivi, sono anche molto sim-
bolici e l'esempio più importante è quello dell'articolo18 dello Sta-
tuto dei lavoratori. Diritto simbolico, ma non per questo meno im-
portante, nel senso che i cambiamenti intervenuti in questi anni han-
no fatto sì che ormai riguardi una stretta cerchia di lavoratori, da
sempre quelli delle aziende con più di 15 dipendenti, da sempre ri-
guarda più uomini che donne perché le donne sono presenti nel mer-
cato del lavoro in settori, pensiamo solo al commercio ad esempio,
dove l'articolo 18 difficilmente si applica.
Ma per le donne, ci sono in ballo ben altri diritti.
Primo per tutti è ancora quello “solito" legato alla maternità.
Nei premi di produttività degli accordi Fiat, tra l'altro, le donne sono
escluse, se in maternità, allattamento, congedi parentali, malattia
dei figli o permessi legati alle legge 104: bel risultato, di cui però a
parte le donne delle Fiom nessuno ci ha informato.
Nelle piattaforme di molti contratti integrativi in discussione in que-
sto momento si tende ad escludere anche in altri contratti la pos-
sibilità di accedere al premio di produttività se in maternità, allat-
tamento ecc.
Allora a che sono servite le battaglie per il riconoscimento del va-
lore sociale della maternità?
Siamo sicure che in una fase di contrattazione così dura come quel-
la di questo periodo non scambieremo il diritto alla maternità per
i permessi sindacali? In un recente contratto infatti l’azienda ha po-
sto i lavoratori davanti alla scelta o di riconoscere la maternità e
l'allattamento ai fini del conteggio della produttività o i permessi
sindacali. La trattativa non è ancora chiusa, ma ho paura che alla
fine verranno preferiti questi ultimi.
Questo per dire che nella difficoltà in cui siamo la solita vecchia sto-
ria che si penalizzano sempre le solite non mi sembra affatto un’ipo-
tesi o un attacco di vetero femminismo.
Quello che mi preoccupa è che vedo una sempre maggiore scollatura
tra chi se ne accorge e chi no.
Anche le nostre battaglie, la nostra presenza nelle piazze forse deve
cominciare ad essere più attenta e precisa. Anche al sindacato dob-
biamo far capire che alcuni diritti - come quello della maternità -
non sono negoziabili.
Siamo andate (poco ma in modo significativo) avanti, dobbiamo sa-
pere che ci può essere un (tragico) ritorno.

noidonne | marzo | 2012


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