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Numero 3 del 2012

D come differenti


Foto: D come differenti
PAGINA 19

Testi pagina 19

IN ESILIÙ



nero e alla guida della Cgil Susanna Camusso. E i0 ti posso an-
che rispondere di sì - spiega Valentina -. Ma la verità è che il di-
battito pubblico non ci prende proprio in considerazione. Sento
parlare di articolo 18, posto fisso, giovani ’mammoni’ e flessibi-
lità. Il paese reale in tutto questo dov'è?", si chiede. Come Enri-
ca, che aggiunge: “La politica e il sindacato parlano di un mon-
do che noi non conosciamo più e chi dovrebbe decidere cosa fare
non conosce più noi. È ovvio che anche le soluzioni, se ci sono,
sono vecchie". Potenzialmente il sistema le accetta, ma la real-
tà è un'altra. “Se la nostra generazione vede una parità di par-
tenza tra uomini e donne, il muro arriva a un certo punto del per-
corso. Quando veniamo messe in un angolo sul nodo della ma-
ternità. Se vengo costretta a firmare contratti in bianco o licen-
ziata perché incinta allora sì, sono discriminata". Che le donne
abbiano assunto un ruolo di maggior potere rispetto al passato
è una conquista anche per loro. “Sono contenta che ci siano - pro-
segue Enrica - ma certo non basta. Non ho mai creduto che le don-
ne dovessero necessariamente fare meglio: ma che potessero far-
lo sì. Se fai parte di una categoria lasciata indietro da secoli do-
vresti farti carico di questo fardello e avanzare proposte mirate".
È questo che si aspettano, in fondo. Che la politica, il sindacato,
si muovano per garantire quelle tutele oggi necessarie. “Non c'è
nessuna discriminazione nell'intervenire per le donne con leggi
mirate in una situazione di emergenza. Quella che viviamo lo è".
Nessuna aspettativa e tanto realismo. “Non possiamo parlare di
un'impronta diversa che queste donne stanno dando. E a dire il
vero non abbiamo mai pensato che potesse essere così". Non si
tratta di scarsa fiducia, ma di una falsa equazione: “Donne al po-
tere non è uguale a tutela della nostra categoria. Sono i fatti a
dimostrarlo". Potendo, saprebbero anche cosa chiedere. “AI sin-
dacato un maggiore spazio rappresentativo, uno sguardo più at-
tento sulla società. A Camusso chiederei di lottare pure per l'ar-
ticolo 18, ma rendendosi conto che c'è tutto un mondo intorno
che neanche lei vede". Incalza Enrica che “norme chiare e san-
zioni contro le aziende che discriminano giovani e donne sa-
rebbero utili". E se rispetto al passato “non c'è paragone" per-
ché “addirittura le nostre madri erano più tutelate", la soluzio-
ne sembra sempre la stessa: “maggiore solidarietà tra di noi. Se
tutte smettessimo di sottostare a quello che il sistema ci impo-
ne, saremmo in grado di scardinarlo". I

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D COME DIFFERENTI / 2

PRECARIE UVER 5t]
E PENSIONI DA FAME

are Susanna Camusso, Elsa Fornero, Emma Marcegaglia, lo sapete
C che alle tante mamme lavoratrici precarie over 50 “spetteranno”

pensioni da fame?
"Amano lavorare, ma preferiscono lasciare il posto di lavoro per badare
alla famiglia. Tra i motivi di abbandono del posto di lavoro da parte del-
le donne al primo posto, per il 40% c’è la volontà di curare la famiglia.
E ancora: nelle donne tra i 25 e i 45 anni, dopo la nascita di un bambi-
no il tasso di occupazione femminile passa bruscamente dal 63% al 50%,
e crolla ulteriormente dopo la nascita del secondo”. Questi sono alcu-
ni dei dati presentati dal Cnel (Roma, 2 febbraio 2012) in occasione de-
gli Stati Generali sul Lavoro delle donne.
E tutte le donne che non fanno una scelta drastica - o il lavoro o la fa-
miglia - e cercano di mediare come ho fatto io e come me migliaia di
altre donne?
Mi presento: 54 anni, separata, due figli. Ho sempre lavorato: dai lavo-
retti pagati mille lire l'ora brevi manu all'approdo a ciò che pomposa-
mente viene definita libera professione, ovvero Partita IVA “suggerita"
dai datori di lavoro che si sono succeduti nel tempo, prestazioni occa-
sionali (negli anni in cui non erano previsti contributi previdenziali),
co.co.co., co.co.pro. In una parola: precaria. Diventare madre per me non
ha significato essere una mera fattrice disposta a far crescere i miei fi-
gli dai nonni vivendo con l'occhio fisso sull’orologio. Non ha fatto figli
“per far piacere a Dio", ma (anche) per piacere mio, per godere della gio-
ia di essere madre pronta ad assumerne il ruolo con tutta la responsa-
bilità necessaria.
Di conseguenza ho ritenuto non solo un diritto ma anche un dovere non
rinunciare ad assistere alle recite natalizie quando erano all'asilo, par-
tecipare alle feste di fine anno scolastico, giocare con loro, fare merenda
insieme, preparare una torta, cucire il vestito di Carnevale, ma anche
educarli, insegnare a leggere con discernimento un giornale, spiegare
i principi dell'etica, aiutarli a distinguere i programmi televisivi, dare loro
educazione civica ed educazione sessuale, tante cose peraltro non pre-
viste da alcun programma scolastico. Non ho mai fatto i compiti con loro
- ed è stata una mia precisa scelta per la loro autonomia - mali ho se-
guiti con occhio vigile ed ho voluto essergli accanto in caso di febbre
o - come accaduto - di piccoli interventi.
Perché non è affatto vero che nella crescita dei figli conta la qualità del
tempo: anche la quantità gioca un ruolo essenziale. Ed è profondamente
ingiusto che le donne lavoratrici con il posto fisso siano piene di sensi
di colpa perche non riescono a stare con i figli quanto vorrebbero.
Insieme a questo essere mamma a “tempo quasi pieno" ho voluto e do-
vuto non abbandonare il mondo del lavoro per contribuire quando e
quanto possibile al bilancio familiare. Mi sono ammazzata di fatica per
far convivere i due ruoli. Libro e film "Ma come fa a fare tutto?”ne sono
stati una simpatica parodia che ha solo sfiorato impegno e problemi del-
le donne che hanno fatto la mia scelta.
E ora? In quanto lavoratrice seppure a mezzo servizio non ho avuto di-
ritto ad assegni in fase di separazione. Confidavo almeno nella futura
(futurissima?) pensione. Che assurda speranza. Ad oggi, con circa 23
anni di contributi nelle gestioni separate, riuscirò a raggranellare più
o meno 5000 euro lordi all'anno, che saliranno di qualche migliaio se
continuerò a versare i contributi come previsto dalla legge per quasi
altri 20 anni. Ne è valsa e ne vale la pena? Non mi converrebbe spen-
dere quei soldi in profumi e balocchi? 0 impegnarli in altra maniera?
Care Susanna Camusso, Elsa Fornero, Emma Marcegaglia, non ritene-
te che mi dovrebbe essere in qualche modo riconosciuto e compensato
l'impegno profuso per far crescere dei cittadini supplendo alle caren-
ze del welfare e dei programmi educativi o scolastici?
Dovrò invece morire lavorando? Io sono davvero stufa di essere pe-
nalizzata. Per concludere una battuta (che quando si andrà in stampa
sarà ormai stantia) nei confronti del Presidente del Consiglio Mario Mon-
ti e della sua affermazione “Posto fisso che monotonia". Ha ragione:
io ho fatto molti lavori diversi tra loro e molti mi hanno dato tanta sod-
disfazione, ma non nessuna tutela.

Paola Scarsi





noidonne | marzo | 2012 o


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