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Numero 9 del 2015

Diritto di famiglia 40 anni dopo


Foto: Diritto di famiglia 40 anni dopo
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Testi pagina 20

18 Settembre 2015
4continua da pag. 17
diritto di eredità di metà del patrimonio”. Insomma una rivoluzio-
ne. “È stata una legge importantissima anche per il cambiamento
culturale che ha messo in moto”. Ci interessa mettere a fuoco l’im-
patto nel mondo del lavoro, nello specifico dell’impresa agricola
familiare. “Per comprendere l’importanza dell’impatto dei cambia-
menti nel mondo agricolo e poi dell’artigianato e del commercio,
vanno sottolineati alcuni antefatti che danno il senso e il valore alla
norma. Già nei primi anni ‘60 nell’Alleanza dei contadini, organiz-
zazione contadina di sinistra, in particolare per merito di intellettuali
e dirigenti come Emilio Sereni, Ruggero Grieco, (che ha scritto an-
che ripetutamente su Noi Donne) o di Alessandro De Feo, si aprì
un approfondito dibattito sulla famiglia/impresa contadina. L’argo-
mento principe partiva dalla donna e dall’esigenza di riconoscerne
concretamente ruolo e funzione sociale ed economica. Il confronto
portò nel 1964 ad una proposta di legge presentata da Emilio Se-
reni, che proponeva di “organizzare”, appunto, l’impresa familiare
come luogo contemporaneamente di affetti e di interessi econo-
mici. Di fatto si aprì la strada ad una proposta, inedita per quel
tempo, di parità per le donne delle campagne. I temi che l’Alleanza
sostenne, con dovizia di elaborazioni di alto livello, erano presu-
mibilmente troppo avanzati, sia per il tempo in cui maturavano ri-
spetto al dibattito femminile in particolare legato alle contadine, sia
rispetto alla considerazione minima che la società civile e politica
aveva per il ruolo dell’agricoltura”. Era l’Italia del boom economico
legato all’industrializzazione e dell’abbandono delle campagne….
“Ricordo una frase dell’epoca che rende bene il sentimento delle
donne della terra: ‘siamo donne, lavoratrici e contadine, siamo la
sintesi massima delle difficoltà’. Ciononostante, la giustezza e la
forza della tematica aprì un confronto che andò avanti e coinvolse
anche la Coltivatori diretti, forte organizzazione che a quel tempo
contava anche su decine di parlamentari. La questione si dimostrò
assai complessa perché, se parlava di famiglia, parlava anche di
impresa, di interessi e gestione dell’impresa identificata in una fa-
miglia allargata al di là del semplice nucleo di marito, moglie e figli.
La famiglia patriarcale cercava di affrontare un salto di qualità che
‘giovava’ in modo speciale alla donna-moglie e non solo, anche se
è ovvio che la norma parli sempre di coniuge o familiare”. Quindi ci
furono molte resistenze. “Proprio la sua modernità rese impossibile
che una legge su tale materia potesse essere approvata e, per
sintesi massima, si arrivò al nobile compromesso di immettere il
tema, sintetizzato, in un articolo (l’89) del nuovo diritto di Famiglia,
divenuto 230 bis del Codice civile, in cui viene riconosciuto il ‘diritto
al mantenimento’ per il familiare che ‘presta in modo continuativo
la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare e par-
tecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati..’ accanto
all’esplicita dichiarazione che ‘il lavoro della donna è considerato
equivalente a quello dell’uomo’, un passo avanti gigantesco!”. So-
prattutto se consideriamo che dal tempo della legge Serpieri negli
anni Trenta era accettato l’assunto secondo cui il lavoro delle don-
ne e dei bambini valeva molto meno rispetto a quello degli uomini.
“Da subito si capirono anche i limiti, perché all’affermazione del
principio dovevano necessariamente seguire norme attuative. Non
mancarono i dissensi come quello della Confagricoltura, che non
si riconosceva nell’impresa contadina, ma l’impatto fu importante
anche nelle imprese artigiane e del commercio. L’impresa familia-
re ebbe poi un ‘riconoscimento giuridico’ importante quando, anni
dopo, la legge 203 per la trasformazione della mezzadria in affitto
obbligò che le domande di trasformazione fossero firmate da tutti
i componenti della famiglia/impresa”. Consideri l’impianto norma-
tivo della legge 151 ancora adeguato all’attuale situazione delle
imprese agricole italiane? “Molto è cambiato e quelle agricole sono
imprese complesse in cui le donne sono divenute capo azienda,
imprenditrici, coimprenditrici di valore, sono state protagoniste di
un’evoluzione straordinaria. Quella legge, o meglio quell’articolo
230 bis, è ormai datato e non risponde più alle nuove esigenze,
credo che la norma andrebbe rivista ma senza tradirne lo spirito in-
novatore”. Puoi fare qualche esempio per far comprendere il senso
di questa osservazione? “Ai tempi della legge 151 l’apporto delle
donne era calcolato sulla base anche dell’impegno casalingo, per
quanto ‘la casa famiglia’ fosse fattore di produzione dell’azienda
stessa. Oggi si parla di multifunzionalità dell’agricoltura, di merca-
to, di esportazione, di innovazione, di compatibilità ambientale, di
biodiversità. Ci sono anche nuovi soggetti sociali impegnati per
un’agricoltura organizzata e moderna. Forse bisognerebbe ripar-
tire dall’impresa familiare per fare il punto su quanto è cambiato
in quaranta anni in modo che questo ‘compleanno’ non sia una
celebrazione ma occasione di nuove riflessioni”. Ha ragione Paola,
il contesto in quattro decenni è mutato completamente, da qual-
siasi angolazione lo si osservi e, mai come in questa occasione,
un traguardo può diventare sfida per un futuro in cui le donne in
particolare, e le persone in generale, sono e saranno presenza im-
prescindibile e condizione di ogni prodotto di qualità. ?
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