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Numero 11 del 2015

Not in my name - contro il terrorismo


Foto: Not in my name - contro il terrorismo
PAGINA 35

Testi pagina 35

33Novembre-Dicembre 2015
AF
GH
AN
IS
TA
N
della sua città, ma la legge islamica vigente in Afghanistan stabi-
lisce che è il padre ad avere il diritto a tenere i fi gli, non la madre.
Da questo momento inizia per lei una lunga strada di sofferenza,
fatta di continui tentativi per poter passare più tempo possibile con
suo fi glio.
è stato riconosciuto, della regista . È la storia di una ragazza che
non si piace, è fi glia unica di una coppia di genitori malati e vor-
rebbe diventare un’altra persona, lasciarsi tutto alle spalle. Crea
quindi un espediente per reinventare se stessa rubando le borse
delle donne che le sembrano vivere una condizione migliore della
sua. Così facendo capisce che tutto sommato, c’è chi sta molto
peggio. Decide quindi di scommettere su se stessa.“Questo corto
è stato premiato perché va oltre la realtà afghana, parla di tutte
le ragazze e le donne del mondo, della diffi coltà di accettare la
propria situazione e della volontà di autodeterminarsi. Ci si riesce
solo scommettendo su se stesse. Si parla di stereotipi, si parla di
violenza sulle donne, si parla di empowerment, veramente ottimo il
messaggio che trasmette”.
è stata attribuita a , cortometraggio del regista . È uno squarcio
di vita quotidiana in un villaggio, dove un fratello e una sorella si
disputano il latte cremoso di un piatto di riso. Come la tradizione
vuole, la parte migliore del cibo è destinato al fratello e la madre,
consapevole di ciò, ignora le proteste della sorella. Il corto descrive
una realtà in evoluzione. All’iniziale rabbia della bambina si sosti-
tuisce la capacità di trovare una soluzione all’ingiustizia subìta. Il
fi lm si conclude con il fratello che si rivolge alla sorellina dicendole:
‘Sei più intelligente di tua madre!’. “Ho avuto il piacere di parlare
con Khadim in aereo al ritorno da Herat verso Kabul. Era molto
contento di aver ricevuto il premio. È giovane e timido, nel suo bre-
ve inglese mi ha spiegato che lo ha girato in famiglia, ha mostrato
dove è nato e cresciuto, in un villaggio nella provincia di Gazni, una
delle più pericolose rispetto alla presenza talebana. Guardandolo
e ripensando alle immagini del fi lm, alle montagne e ai tramonti
che mostra, penso sempre che la vita sia una grande opportunità.
Se lui ora è all’università a studiare cinema lo deve alla madre e al
ROYA, ALKA
E IL LORO FESTIVAL
UN MESSAGGIO DI SPERANZA
LE AVEVAMO CONOSCIUTE NEL 2008. GIOVANI DETERMINATE A FARE LE REGISTE, UN LAVORO IMPENSABILE IN AFGHANISTAN PER LE
DONNE. NOIDONNE LE HA SOSTENUTE CON IL PROGETTO ‘IL SOGNO DI ROYA E ALKA’, CHE MOLTE NOSTRE LETTRICI RICORDANO.
IL SOGNO HA CONTAMINATO LA REALTÀ E DOPO ANNI LE INCONTRIAMO DI NUOVO E GUIDANO UN LORO PROGETTO:
UN FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DELLE DONNE. ENTRAMBE SONO DIVENTATE MADRI E SONO CRESCIUTE
PROFESSIONALMENTE, NONOSTANTE LE CONDIZIONI DEL LORO PAESE E DELLE DONNE NEL LORO PAESE. NONOSTANTE TUTTO.
padre, che è tassista a Kabul e non è d’accodo della sua scelta ma
lo sostiene comunque economicamente”.
A , cortometraggio del regista , è andato il riconoscimento per la .
Racconta la complessità dell’attuale società afghana rispetto alla
violenza sulle donne. Il fi lm si dipana tra storie di più famiglie, tutte
collegate a loro insaputa. È molto interessante perché mostra ve-
ramente la vita di tutti i giorni. Dopo una serie di eventi drammatici,
alcuni uomini prendono coscienza di quanto sia importante essere
rispettosi dell’altra metà del cielo.
è andato al fi lm , del regista iraniano , sul tema dei matrimoni pre-
coci e forzati. Un signore di oltre cinquant’anni compra la fi glia di
dodici anni da un uomo eroinomane e la madre fornaia, disperata,
cerca di riprendersela. È la storia della complicità e del coraggio
di donne che trovano una via di uscita da un sistema patriarcale
imperante.
“Mi avvicino a Lina per farle i complimenti perché trovo che la sua
interpretazione è qualcosa di eccezionale, che va veramente ol-
tre lo schermo. Infatti è stato premiato il fi lm e anche lei come mi-
glior attrice. Lei con le lacrime agli occhi mi racconta che il fi lm è
quasi un miracolo perché è stato girato con pochissimi soldi e fi no
all’ultimo non sapevano se riuscivano a realizzarlo. La popolazio-
ne del villaggio che li ha ospitati per girare le scene, nella valle di
Shamali fuori Kabul, quanto hanno capito quale era l’argomento
del fi lm, volevano cacciare tutta la troupe. Li hanno minacciati e
hanno temuto per la loro incolumità, ma non si sono arresi perché
volevano testimoniare quanto avviene ancora oggi alle bambine,
volevano raccontare la disperazione delle loro madri. Poi mi guar-
da e mi dice che è stupita dal fatto che noi occidentali capiamo
questi problemi e mi ringrazia. Le rispondo che purtroppo, nella
mia esperienza di vita vissuta in Afghanistan, seguendo poi negli
anni il progetto Jamila di Fondazione Pangea e le sue benefi ciarie,
ho incrociato molte storie come quella di Gamar e purtroppo non
sono fi nite bene come il fi lm. Abbasso la testa perché mi escono le
lacrime agli occhi. Ci guardiamo e ci capiamo. Andiamo avanti”. ?
Testo di Simona Lanzoni,
Vicepresidente Fondazione Pangea,
e Barbara Gallo, giornalista pubblicista.
Ringraziamo Simona Lanzoni per le foto
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