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Numero 11 del 2015

Not in my name - contro il terrorismo


Foto: Not in my name - contro il terrorismo
PAGINA 31

Testi pagina 31

29Novembre-Dicembre 2015
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m
a
esperienza di volontariato in favore di donne e bambini,
nasce nel 1999 l’Humanitarian Assistance for the Women
and Children of Afghanistan (HAWCA), associazione che
attualmente presiede, attiva anche in Pakistan. La deci-
sione recente di accogliere un incarico di grande visibilità
all’interno di Hambastagi, invece, scaturisce dalla consta-
tazione da parte di Selay che il lavoro nelle organizzazioni
umanitarie non è di per sé sufficiente: un vero cambiamen-
to, più incisivo e duraturo, capace di intaccare il sistema
e non solo di trovare soluzioni ai danni che esso arreca, si
può ottenere soltanto attraverso l’azione politica. L’obiettivo
principale di Hambastagi è proprio quello di perseguire la
parità dei diritti tra donne e uomini, oltre alla laicità dello
stato, impresa non certamente semplice in un paese come
l’Afghanistan che, secondo un recente sondaggio, è in
assoluto il più pericoloso al mondo in cui una donna può
vivere. Un paese dove le donne, accusate per sedicenti
reati morali, subiscono da quarant’anni le pene più atroci
e degradanti che vanno dalle violenze di gruppo alle lapi-
dazioni, fino alle acidificazioni; dove carcerazioni e torture
sono all’ordine del giorno.
Diverso da quello di Selay, ma non meno complesso, è lo
scenario descritto da Rada Zarkovic, Presidente della
Cooperativa bosniaca “Insieme”, volto senz’altro noto
a molte lettrici di NOIDONNE. È lei a mostrare a tutti noi
“l’altra via possibile”, quella tracciata attraverso il lavoro,
che oggi, dopo anni di impegno e perseveranza, comin-
cia a dare i suoi frutti. Storica femminista e pacifista ju-
goslava, profuga a Belgrado con le Donne in Nero, Rada
non è solo un’imprenditrice e il suo progetto è qualcosa
di più di un’impresa economica. I frutti cui allude, infat-
ti, non solo soltanto le more, i lamponi e i mirtilli coltivati
biologicamente dai soci della Cooperativa sulla riva della
Drina, a pochi chilometri da Srebrenica, utilizzati poi per
la produzione di marmellate; i frutti che oggi raccolgo-
no sono anche quelli che hanno portato al ripopolamento
dell’area attorno a Srebrenica, tragicamente desertificata
dopo il genocidio dell’11 luglio del 1995. La Cooperati-
va Insieme ha dato una risposta concreta ai bisogni di
un territorio massacrato, coinvolgendo donne (ma anche
uomini) in un progetto che proprio attraverso il lavoro sta
ricucendo un tessuto sociale smembrato, riallacciando le
relazioni lacerate a partire dalla condivisione del dolore
dell’altro. Rada, d’altronde, ha sempre resistito ai tentativi
di strumentalizzazione politica volti a sottolineare le “diffe-
renze etniche” tra le lavoratrici della cooperativa. “Tutti si
aspettano da noi lamenti e manifestazioni di dolore, rac-
conti delle perdite subite - afferma Rada richiamando uno
stato delle cose che vuole le sue donne sempre e soltanto
delle vittime, vedove di guerra bisognose di aiuto -. Io non
sono qui per rappresentare il dolore di nessuno, neanche
il mio. Sono qui per parlare di donne che hanno deciso di
prendere la propria vita in mano, che sono state capaci
di guardare al futuro invece di lamentarsi per quello che
è stato”.
“Un altro mondo è possibile ma solo se costruito dalle
donne con le donne”, conclude Ozlem Tanrikulu, presi-
dente dell’Ufficio informazione del Kurdistan a Roma
e membro del Congresso Nazionale del Kurdistan,
ammiccante verso le compagne. È lei a richiamare l’at-
tenzione verso un altro tipo di resistenza, ben nota a noi
tutti: quella delledonne curde che lottano a Kobane (nel
Rojava, Siria) come a Bakur, in Turchia, contro l’avanzata
dell’ISIS. Una lotta, sottolinea, che al dì là dei sensaziona-
lismi e della strumentalizzazione mediatica, ha avuto ori-
gine negli anni Settanta, quando il movimento delle donne
curde ha assunto dovunque il carattere di un movimento
di ricostruzione della società e dell’economia che parte
dal basso; un percorso di contrapposizione a un sistema
patriarcale e/o clanico e/o religioso che distrugge, ucci-
de. Un percorso, certamente, che richiama la vita, della
quale la donna è unica portatrice. b
Foto gentilmente concesse da Mario Boccia
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