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Numero 1 del 2011

Il futuro in testa


Foto: Il futuro in testa
PAGINA 17

Testi pagina 17

sto vada a loro vantaggio o a vantaggio di chi vuole tenerle
buone. Il futuro e solo una parte di questo discorso. Oc—
corre interrogarsi allora sulle ragioni di questo processo.
Per fare un altro esempio, il problema ecologico non può
essere considerato come problema a sé, perché l’ambiente
è manipolato da qualche potere. Ho avuto di recente una
discussione acerrima con un collega che sostiene che sia-
mo minacciati da un totalitarismo tecnocratico. Bene, gli
ho detto ‘dammi dei nomi e cognomi’. Ci sarà pure un to-
talitarismo tecnocratico, ma allora bisogna riconoscere che
questo non va avanti da sé e capire chi lo maneggia.

Forse occorre una visione collettiva; per proporla, o an-
che solo per nominarla, secondo lei è più adatta la poli-
tica o la filosofia?

Io sono un cultore dell’undicesima Tesi di Marx su Fe-
uerbach. I filosofi hanno interpretato il mondo, ora oc-
corre cambiarlo. Nonostante tutto, quindi, penso sia più
adatta la politica. Mi pare urgente risvegliare, magari an-
che con idee filosofiche, l’interesse per la politica. La gen—
te si disinteressa troppo, un po’ perché delusa, poi per-
ché c’è un peggioramento della situazione economica, so-
ciale e culturale. Anche la stessa paura del futuro tiene lon-
tani dalla politica, per assenza di aspettative e di prospettive
si tende a tirare i remi in barca, ma questo significa an-
dare alla deriva. Ciò che mi stupisce e che non mi sarei
mai aspettato è che in Italia si stanno tollerando cose che
in altre epoche la gente non avrebbe mai tollerato, sul pia-
no dei diritti sindacali, della riduzione dei servizi socia-
li, per non parlare della chiusura di fabbriche e di attivi-
tà produttive in tutti i settori. Fino a che punto si può re-
sistere?

Le donne sono sempre in bilico fra spazio privato e
spazio pubblico. Rispetto a un 'futuro possibile', il loro
ruolo è al centro oppure, proprio a causa di questa col-
locazione sempre scomoda, sono destinare a restare
al margine?

Conto molto sulle donne a cominciare proprio dalle ‘don-
ne di casa’, da quelle donne che nello ‘spazio privato’ po-
trebbero far sentire, anche ai maschi, la gravità della situa—
zione. Di quelle donne che, in quanto madri, hanno a che
fare con il futuro impersonato dai figli e dalle figlie. Con-
to poi su quelle donne che hanno a che fare con le questioni
familiari e lavorative, quindi sono le prime ad avere con-
sapevolezza della mancanza di servizi sociali adeguati. Con
questo non intendo dire che si debba spostare il compito
rivoluzionario a qualcuno che non siamo noi, come Mar-
cuse che vedeva il nuovo proletariato nel popolo del co-
siddetto terzo mondo. Spero che le donne possano far sen—
tire la gravità della situazione ed essere così al centro di un
processo di cambiamento della società nel suo complesso.

Gianni Vattimo è nato il 4 gennaio 1936 a Torino. Filoso-
fo, ha studiato con Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson. Nel-
le sue opere Vattimo ha proposto un’interpretazione dell'on-
tologia ermeneutica contemporanea che ne accentua il lega-
me positivo con il nichilismo, inteso come indebolimento delle
categorie ontologiche tramandate dalla metafisica e criticate
da Nietzsche e Heidegger. Indebolimento dell'essere che non si
attribuisce più caratteristiche forti ma si riconosce più legato
al tempo, alla vita e alla morte. Rimanendo fedele alla sua ori-
ginaria ispirazione religioso-politica, ha sempre coltivato una fi-
losofia attenta ai problemi della società. || “pensiero debole",
che lo ha fatto conoscere in molti paesi, è una filosofia che pen-
sa la storia dell'emancipazione umana come una progressiva
riduzione della violenza e dei dogmatismi e che favorisce il su-
peramento di quelle ingiustizie sociali che da questi derivano.
Da diversi anni impegnato in politica, Vattimo è attualmente de-
putato al Parlamento europeo nell’Alleanza dei Democratici e
dei Liberali per l'Europa, eletto nelle liste dell'Italia dei Valori come
candidato indipendente. I

PAROLA
COLLETTIVA

Ci sono parole che appartengono a tutti. E sono proprio
le parole collettive a essere (ab)usate dal potere, che è
sempre alla ricerca di consenso e di voti. Spesso sono pa-
role semplici, ripetute migliaia di volte, che entrano nel-
l'immaginario collettivo come simboli, come messaggi
subliminali. Una di queste è: ‘futuro'.

Da un lato si parla dei desideri e delle aspirazioni del po-
polo, dall'altro si agisce su di esso attraverso la paura.
Mentre gli scienziati si interrogano su ‘La Fine del Mondo.
Istruzioni per l'uso' (titolo del Festival delle Scienze 2011,
dal 20 al 23 gennaio a Roma), i movimenti territoriali,
quelli che si organizzano ’dal basso', da nord a sud, ten-
tano di difendere gli spazi di partecipazione democratica,
vogliono essere protagonisti del proprio futuro e prati-
care una politica ‘altra’, capace, lungimirante e attenta.
Qualcuno pensa a nuovi modi di raccontare l'Italia, “im-
poverita dalla speculazione, rassegnata al degrado, nar-
cotizzata da una informazione distorta, devastata da una
enorme colata di cemento" come si legge in un appello
unitario di vari gruppi, tra cui il Movimento No Tav e il Mo-
vimento Difesa del territorio Area Vesuviana. Ne è un
esempio anche il film documentario 'Il futuro del mondo
passa da qui / City Veins', abbinato a un osservatorio
crossmediale in una terra di nessuno, periferia d'Europa,
crocevia di storie (Niccolò Bruna/ColombreFiIm - Baby-
doc Film, per la regia di Andrea Deaglio). Insomma
ognuno protesta come può, e se ci chiediamo i| perché,
una risposta la rubiamo a Barbara Spinelli (in “Gioventù
bruciata", La Repubblica 8 dicembre 2010): “qualcos’altro
è in gioco: il disagio, più radicale, riguarda l'esistere
stesso; il perché e il come si vive l'oggi e si pensa, tre-
mando e temendo, il futuro”.

(E.R.)

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noidonne | gennaio | 2011 G


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