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Numero 6 del 2012

Un fiore per Melissa


Foto: Un fiore per Melissa
PAGINA 42

Testi pagina 42

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to, le domande che sollevava erano le stesse: una donna
avrebbe dovuto lavorare per un salario? Qual era l’impatto
del lavoro salariato sul corpo della donna, e sulla sua ca—
pacità di adempiere i ruoli materni e familiari? Il problema
era impostato nei termini di una presunta opposizione fra
famiglia e lavoro, tema purtroppo ancora molto attuale.
Si riteneva che mentre nel periodo preindustriale le don—
ne avessero combinato con successo l’attività produttiva e
la cura dei figli, il lavoro e la vita familiare, ora il presunto
mutamento del luogo di lavoro avesse reso difficile, se non
impossibile, questa combinazione. Di conseguenza, si di-
ceva, le donne avrebbero potuto lavorare solo per brevi pe-
riodi della loro vita, ritirandosi dall’impiego salariato dopo
essersi sposate o dopo aver avuto un bambino, e ritornan-
do al lavoro più tardi solo se i loro mariti non fossero sta-
ti in grado di mantenere la famiglia. Da questo derivava il
fatto che esse si indirizzassero verso lavori non specializzati
e mal pagati, per dare priorità ai loro impegni materni e do—
mestici, rispetto a qualsiasi identificazione professionale. La
“questione” della donna lavoratrice era allora anomala in
un mondo dove il lavoro retribuito e le responsabilità fa-
miliari erano divenuti entrambi compiti a tempo pieno, e
spazialmente separati. Insomma la causa del “problema” era
inevitabile in un contesto di sviluppo industriale capitali-
stico che seguiva una sua propria logica.
Questa interpretazione del lavoro fem-
minile contribuì all’opinione medica,
scientifica, politica e morale che è stata in-
dicata come l’“ideologia della vita fami-
liare” ola “dottrina delle sfere separate”
dove si concettualizza il genere come il fat—
tore della divisione sessuale “naturale” del
lavoro nel XIX secolo. Il dilemma casa
“versus” lavoro si collegò con la creazione
di una forza lavoro femminile, definita
come una fonte di lavoro a basso costo e
idonea solo per certi tipi di occupazioni.
Nel frattempo era emersa chiaramente

noidonne | giugno | 2012





l’ostilità della maggioranza dei lavoratori di sesso maschi-
le a qualunque norma a favore delle lavoratrici nel timo—
re che potesse aumentare la concorrenza del lavoro fem-
minile. Così anche il Partito Socialista e le sue organizza—
zioni sindacali non
perorarono la causa
della tutela del lavo—
r0 femminile, nono—
stante lo slogan s0-
cialista: “Le donne
che lavorano come
voi sono uomini”.
Sul versante dei di-
ritti civili e politici,
erano intanto nate
l’Associazione na-
zionale per la donna
a Roma nel 1897,
l’Unione femminile
nazionale a Milano
nel 1899 e nel 1903 il
Consiglio nazionale delle donne italiane, aderente al Con-
siglio internazionale femminile.

Nel 1881 Anna Maria Mozzoni tenne un’accorata pero-
razione del suffragio femminile: “Se temeste che il suffragio
alle donne spingesse a corsa vertiginosa il carro del pro—
gresso sulla via delle riforme sociali, calmatevil Vi è chi
provvede freni efficace: vi è il Quirinale, il Vaticano, Mon-
tecitorio e Palazzo Madama, vi è il pergamo e il confes-
sionale, il catechismo nelle scuole e la democrazia op-
portunista! ”. Ed infatti tutti i progetti di legge per garantire
il voto alle donne, o meglio ad alcune categorie di donne,
venivano regolarmente bocciati (Minghetti 1861, Lanza
1871, Nicotera 1876-77, Depretis 1882 etc.).

Sul fronte dell’istruzione, venne permesso soltanto nel 1874
l’accesso delle donne ai licei e alle università, anche se in re-
altà continuarono ad essere respinte le iscrizioni femmini-
li. Ventisei anni dopo, nel 1900, risultano
iscritte all’università in Italia 250 donne,
287 ai licei, 267 alle scuole di magistero
superiore, 1178 ai ginnasi e quasi 10.000
alle scuole professionali e commerciali.
Quattordici anni dopo le iscritte agli
istituti di istruzione media (compresi gli
istituti tecnici) saranno circa 100.000.

Il titolo di studio però non garantisce an-
cora l’accesso alle professioni. Nel 1881
una sentenza del Tribunale annullò la de-
cisione dell’Ordine degli avvocati di am—
mettere l’iscrizione di Lidia Poet, laureata
in legge e procuratrice legale. Nel 1877


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