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Numero 1 del 2012

Il meglio di noi


Foto: Il meglio di noi
PAGINA 45

Testi pagina 45

COSA SIGNIFICA PER TE GIRARE CON LA MACCHINA DA
PRESA? PARAGONERESTI QUESTO LAVORO A UN VIAGGIO?
Riprendere per me e guardare più a fondo le persone, i
posti, gli oggetti. Con la telecamera mi sento più protet—
ta nell’osservare, più determinata nel Chiedere, più vici-
na all’intimita delle persone e alla mia. Riguardo a Visit
India è una visione su un posto e sull’immigrazione pre—
sentata in forma di viaggio, ma soprattutto è un invito al
viaggio rivolto a chi non ha ancora scoperto che gli stra-
nieri ci restituiscono un’Italia che altrimenti non avrem—
mo conosciuto.

SECONDO TE OGGI LE DONNE HANNO ANCORA BATTAGLIE DA
FARE IN CAMPO LAVORATIVO, SOCIALE E CULTURALE?

Quello che mi viene da dire subito è che sicuramente c’è
molto da fare ma che le vere battaglie si fanno a pochi cen—
timetri da noi, con le persone che frequentiamo nella vita
e nel lavoro. E poi non credo molto nella “battaglia”, quan-
do si combatte si è più concentrati sulle tattiche di vittoria
che non sul bene della causa. Certo, quando una donna
diventa presidente, ministro, amministratore di condo-
minio, ho sempre l’impressione che il destino del mon—
do o del palazzo abbia qualche chance in più. Ma forse
è il solito tifo calcistico per la squadra delle donne.

THIS IS MY LAND... HEBRON

diGiulia AmatieStephen Natanson

Storie di vita vissute nei territori occupati: prevaricazioni,
violazioni dei diritti elementari e strategia della tensione sono
il pane quotidiano ad Hebron, uno dei luoghi-simbolo del-
l’occupazione israeliana, terra contesa per eccellenza,
dove i coloni occupanti, ebbri di fanatismo patriottico—re—
ligioso vessano, giorno dopo giorno, ora dopo ora, i pale-
stinesi occupati, alimentando l’odio reciproco fra i due po-
poli ed inculcando la cecità ed il pregiudizio anche ai bam—
bini, ed è normale vedere piccoli ortodossi che insultano
e prendono a sassate anziane signore arabe barricate die-
tro gabbie protettive. Ma che vita è mai questa? Anche per
rispondere a questa domanda due coraggiosi registi, Giu-



lia Amati e Stephen Natanson, hanno realizzato il docu—filrn
“This is my land...Hebron”, decidendo di riprendere, con
la videocamera e l’occhio attento del testimone partecipante,
immagini ed eventi, ascoltando punti di vista plurali, par—
ti in causa, giornalisti, membri di organizzazioni umanita-
rie, soldati pentiti divenuti accompagnatori turistici nei ter-
ritori. Il documentario, vincitore del Festival di Bellaria, di
una menzione speciale al MedFilm Festival 2011 ed altri
premi, è andato in onda su RAIS.

PERCHÉ HAI DECISO DI GIRARE QUESTO DOCUMENTARIO?

Ho ricevuto la proposta di insegnare film -ma1 bron e ci sono andata: una volta lì ho iniziato a girare, a
vedere ed ho conosciuto molte persone significative, come
Yehuda, fondatore di ‘Breaking the Silence’ che, dopo aver
lasciato l’esercito perché non approvava ciò che accade—
va ad Hebron, ora vi accompagna turisti e giornalisti per
spiegare cosa succede. Poi ho Chiamato Stephen Natan-
son, perché non sono un tipo troppo coraggioso, ed ab—
biamo cominciato a girare, ho ascoltato le organizzazio-
ni umanitarie a favore dei palestinesi ed ho inserito il pun-
to di vista dei coloni.

Ho raccolto tantissimo materiale ed ho impiegato tre anni
per montare il documentario che, inizialmente, è stato ri-
fiutato dai Festival, poi finalmente è stato selezionato dal
Festival dei Popoli ed ha vinto alcuni premi e poi c’è sta-
ta una proiezione New York alla “Hebron Foundation”,
un vero banco di prova per noi, ma è andata benissimo.
Non è stato facile affrontare una questione così contro-
versa e delicata. Ora abbiamo un po’ di timore a torna-
re in Israele, Luisa Morgantini è una sostenitrice del do—
cumentario ma è difficile portarlo nei territori occupati.

HAI AVUTO PROBLEMI COME DONNA REGISTA AD ENTRARE IN
CONTATTO CON IL MONDO CHE RACCONTI?

Non saprei, credo che in una situazione claustrofobica
come quella di Hebron l’aspetto che più ha contato nel
rapporto con le persone era il fatto di essere una straniera
e di avere una videocamera. In questo senso il sesso e l’età
passano in secondo piano. La gente ti tratta come una spe—
cie di angelo, un essere senza sesso. Peri palestinesi poi,
che non possono uscire dai territori occupati, poter ac-
cogliere uno straniero in casa è un modo di viaggiare e di
raccontare al mondo la propria esperienza.

In una città come Hebron è difficile che qualcuno ci ca-
piti per caso o ci vada per piacere, il semplice fatto di es—
sere uno straniero genera attenzione e interesse. Abbia-
mo lavorato sulla documentalita, sul testimoniare, senza
edulcorare quanto visto né porre un diaframma a livello
emotivo verso le sensazioni provate, contro la strategia del-
lo svuotamento.







noidonne I gennaio I 2012 43


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