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Numero 2 del 2012

Lavorare per 5 euro l'ora


Foto: Lavorare per 5 euro l'ora
PAGINA 43

Testi pagina 43

ganizzò le combattenti, cosiddette “giardiniere”, contro
il modello imposto dal Regno Borbonico e dalla cultura
del tempo.

Antonietta nacque il 2 febbraio del 1818 a Gallipoli, in
provincia di Lecce, da Gregorio, un banchiere napoletano,
e da Luisa Rocci Cerasoli, una nobildonna d’origine spa-
gnola i cui fratelli avevano partecipato attivamente alla Re—
pubblica napoletana del 1799.

Ad otto anni Antonietta rimase orfana del padre, morto
in circostanze misteriose. Perciò, insieme alle sorelle Chia—
ra, Carlotta e Rosa, fu rinchiusa nel monastero delle cla-
risse di Gallipoli, la cui badessa apparteneva alla famiglia
De Pace. La sorella Rosa sposò Epaminonda Valentino,
responsabile della corrispondenza politica mazziniana tra
Napoli e la Terra d’Otranto. È grazie a lui che Antonietta
entrò a far parte della “Giovine Italia”. Il cognato Epa—
minonda morì in carcere a Lecce, a soli 38 anni. La fine
prematura del cognato spinse Antonietta a lasciare Gal-
lipoli per andare a vivere a Napoli con la sorella Rosa e
i nipoti, dove collaborò attivamente con il comitato na-
poletano della “Giovine Italia”, presieduto allora dal-
l’avvocato tarantino Nicola Mignogna. Qui nel 1849 fon—
dò un Circolo femminile, composto prevalentemente da
donne di estrazione nobile o alto borghese, i cui paren-
ti si trovavano nelle carceri borboniche,
allo scopo di mantenere i rapporti fra i
detenuti politici e i loro parenti, e far per-
venire nelle carceri viveri e altri mezzi di
sussistenza, lettere e informazioni poli-
tiche. Oltre a dirigere il Circolo fem-
minile, e il successivo Comitato politico
femminile, attivo negli anni 1849-1855, Antonietta col-
laborò ad associazioni patriottiche meridionali, quali l’Uni-
tà d’Italia, che propagandavano l’unificazione dei numerosi
movimenti politici del Meridione sotto l’egida repubbli-
cana. A causa della sua attività, considerata eversiva, fu
costretta a cambiare spesso abitazione, per non coinvol-
gere la sorella Rosa e per depistare la polizia borbonica.
Arrestata il 26 agosto 1855, non esitò ad inghiottire, ap-
pallottolandoli, due proclami di Mazzini. Fu sottoposta
a continui interrogatori e vessazioni di ogni tipo, senza mai
rivelare alcunché delle sue attività cospirative. Il procu-
ratore generale Nicoletti chiese per lei una condanna esem—
plare a morte. In un processo che fece molto scalpore, per-
ché l’imputato era una donna e, per giunta, appartenen-
te all’alta borghesia. Assolta perché la giuria si divise, dopo
la sua liberazione visse strettamente sorvegliata dalla po-
lizia, ma non abbandonò la sua attività di cospiratrice, anzi
fondò a Napoli un Comitato politico mazziniano. Nel—
l’ottobre del 1858 incontrò Beniamino Marciano, un gio-
vane prete liberale di Striano, che era venuto ad abitare



nello stesso edificio in cui risiedeva Antonietta. Tra i due
nacque subito un intenso rapporto sul piano sentimen-
tale e politico, che si coronò con il matrimonio celebra-
to nel 1876 quando Antonietta aveva già 58 anni.
Quando il 7 settembre 1859 Garibaldi entrò trionfalmente
a Napoli con ventotto ufficiali, lo accompagnavano due
donne, Emma Ferretti e Antonietta De Pace, vestite con
i colori della bandiera italiana. Alla morte di Cavour, An-
tonietta De Pace si recò a Torino per i funerali, accolta
con grandi onori dai patrioti meridionali che sedevano nel
Parlamento italiano. Tanto che Garibaldi non poté fare
a meno di scrivere: “ . . . V0i donne, interpreti della divi-
nità presso l’uomo, molto già avete fatto perl’ltalia e mol—
to ancora dovete operare per l’avvenire. Molto confido
nelle donne di Napoli”.

Antonietta tornò a Gallipoli dopo tren—
taquattro anni di assenza e si dedicò al-
l’educazione dei fanciulli, che esortava di-
cendo: “Noi abbiamo fatto l’Italia, V0i do—
vete conservarla, lavorando a farla pro-
spera e grande”. Morì la mattina di un
giorno di sole a 76 anni. Il suo ritratto ad
olio, dipinto dal Sogliano, è esposto al Museo civico del-
la città di Gallipoli, mentre il Comune le intitolò una via
cittadina e nel 1959 ebbe il suo nome anche l’Istituto Pro—
fessionale Femminile di Lecce.



EROINE [NON PIÙ] DIMENTICATE

La cordicella che veniva concessa alle
donne condannate all'impiccagione per
“custodire il pudore" tenendo legati i
lembi della veste durante l'impiccagione
venne rifiutata a Eleonora de Fonseca
Pimentel, che “dovette far fronte alla
morte senza le mutande che le avevano
strappato via mentre indossava l'abito
delle recluse". I suoi illustri natali non le
valsero neppure per avere il “triste pri-
vilegio di morire di scure anziché di lac-
cio", tanto i rivoltosi - soprattutto se donne - erano odiati
dall'aristocrazia. È uno dei ritratti delle eroine del Risorgi-
mento - tratteggiati sapientemente e curati con particolari
che restituiscono con efficace immediatezza la loro umanità
- da Marina Cepeda Fuentes in “Sorelle d’Italia. Le donne che
hanno fatto il Risorgimento" (ed Blu). L’autrice, spagnola da
tempo in Italia e giornalista dai multiformi interessi, racconta
’I'altro Risorgimento' attraverso documenti e testimonianze,
leggende e poesie. Un libro che ha il pregio di porgere storie
ed episodi con eleganza e dovizia di riferimenti e che si uni-
sce ad altri studi nella convinzione che non basta qualche
strada intitolata o qualche lapide impolverata a rendere
omaggio a quelle eroine.

SORELLE D’ITALIA

In donne ma l'idlilio Vallo ll Risorgimenlo



T.B.







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