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Numero 10 del 2015

Madri


Foto: Madri
PAGINA 7

Testi pagina 7

5Ottobre 2015
la qualità della vita lascia desiderare, re-
stano il settimo paese industrializzato (se
l’espressione significa ancora qualcosa);
ma si occupano della Libia non per difen-
dere la democrazia, ma per non trovarsi
al freddo il prossimo inverno senza il gas.
In Austria è stato abbandonato un tir con
settantun cadaveri: la Vienna civile è scesa
per le strade a manifestare che non esisto-
no le frontiere e che immigrati e profughi
sono i benvenuti. Ovunque bisogna scac-
ciare le paure, perché quando si muove
la storia, occorre seguirne le dinamiche: le
antiche nazioni sono finite, anche se resta
l’importanza delle diverse culture. E ovun-
que la gente perbene deve esprimersi e
prendere le distanze dalla xenofobia ve-
ramente stolta: l’Ungheria ha visto cade-
re da solo il muro della vergogna e i Salvini
italiani dovrebbero tenerne conto.
Pensiamo positivo: mai come oggi ab-
biamo bisogno di unità in Europa e, se
Schauble ha proposto di creare un fondo
europeo per affrontare insieme il problema
migratorio, le speranze federaliste - oggi
più deboli che ai tempi di Spinelli - posso-
no riprendere quota e portare ad unificare
un bilancio e, magari, una fiscalità unitari.
Come in tutte le situazioni tragiche, il
peggio tocca alle donne. Occorre ripe-
terlo in tempi in cui è tornato l’occulta-
mento dei nostri diversi diritti. La delin-
quenza degli scafisti non si accontenta
di ottenere dalle donne il pagamento del
transito: le ricatta sessualmente. Don-
ne emigrano con la famiglia, ma anche
sole; spesso perdono i figli nella confu-
sione degli sbarchi e le tante che riman-
gono nel loro paese li perdono perché li
mandano via soli, per salvarli. A Budrum
un bimbo è morto, tutto solo, sulla spiag-
gia. A Lampedusa è arrivata una neona-
ta, la cui mamma è morta nel viaggio e
il padre forse non era con loro. Anche
i piccoli che si salveranno porteranno i
segni di una vita iniziata nella tragedia.
Sono simboli: se non provvediamo alme-
no nuove misure di tutela per i minori non
accompagnati, davvero non abbiamo
speranza. Perché nemmeno noi ci pos-
siamo salvare da soli. b
Esiste un’App per debellare il sen-so di impotenza? O per imparare a conviverci? O addirittura per
non provarlo? Io la voglio, e se la trovate,
vi prego, segnalatemela! Io, che sono pro-
fondamente occidentale e illuminista, ri-
gorosa e razionale, prometto che potrei
votarmi a qualsiasi filosofia orientale,
new age, ma anche vecchia age, pur di
provarla, sperimentarla e dire che avevo
torto, che della vita non avevo capito nul-
la perché bastava questa miracolosa App,
con l’immagine magari di un vecchio sag-
gio sul fiume, a rendere la mia esistenza
perfetta in quanto....priva di sollecitazio-
ni negative. L’impotenza è il peggiore dei
sentimenti. Si misura con la tua etica, coi
tuoi valori, coi tuoi principi, con le tue
aspettative. Col volere è potere, il più
grande degli inganni, perché volere non è
potere. Perché desiderare non è ottene-
re. Perché sognare non è concretizzare.
L’impotenza ti rimanda a specchio il tuo
fallimento morale, come la mappa di una
città, in cui trovi una X che significa ‘tu
arrivi fin qui, oltre ti è impedito’. Il per-
ché non lo sai, perché tu sai invece che
la strada prosegue. Eppure per te c’è un
muro, che tu ritieni di pasta frolla, perché
basato spesso su convenzioni, stereotipi,
pregiudizi. Ma è sempre un muro e tu
non puoi oltrepassarlo. Fremi, ti agiti.
Ti ribelli, ma nulla puoi. E allora sbatti
la testa, come i bambini, forte e sempre
più forte e tu sanguini ma quel muro ri-
mane lì, così, perché è più forte. Chi lo ha
costruito? Quante mani? In quanto tem-
po? Con quanti mattoni? Possibile che
non crolli? Che non si faccia una crepa?
Che non si possa aprire un pertugio? No.
Ecco, è il no che distrugge chi vive con
la certezza del dubbio, dell’alternativa,
della possibilità. E allora tocca prender-
la persa, come col marito che ti tradisce,
puoi anche sbatterlo fuori di casa, ma
non cambia il passato. Sì, può cambiare
il futuro, ma quella ferita è lì, e non la
curi fino in fondo. L’aereo parte con ore
di ritardo, puoi rivalerti sulla compagnia,
portare avanti una battaglia legale este-
nuante, per cosa? Per un tempo che non
riavrai a cui aggiungi un tempo nuovo
che perderai in un conflitto pressoché
inutile. Vorresti correre ma non puoi,
perché il tuo fisico non te lo consente,
rischi di danneggiarlo, cosa fai, tiri cal-
ci in giro? Allora la domanda è: fin dove
ci si può spingere per cercare sempre e
comunque la verità, soprattutto nelle
cose davvero importanti, che attengono
la sfera morale? Quale è il confine tra la
ricerca e l’esasperazione? Fin quando le
battaglie hanno un senso? Io ne ho fat-
te tante, eppure oggi, a 40 anni suonati,
persa la spinta idealista, mi interrogo.
Non voglio rinunciare, eppure...eppure...
eppure, talvolta davvero si urla in una
folla di sordi. Mio padre mi ha insegnato
a non rinunciare mai a provare a cam-
biare il mondo. Sempre e comunque. E a
rifiutare tutte le situazioni che avrebbero
cambiato me. Ma l’impotenza, quella che
ti svuota l’anima, è il più imprevisto dei
sentimenti, non c’è un’educazione all’im-
potenza. Eppure va accettata. E come mi
ha detto una persona di recente, va accet-
tata come prova, per noi. E allora forse
basta fare come il giungo, sapersi piegare
senza spezzarsi. Che forse è l’unico modo
per non tradirsi.
di Camilla Ghedini
L’UMANO SENTIMENTO
DELL’IMPOTENZA
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