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Numero 2 del 2015

Libere/i di scegliere: gay lesbo Lgbt - Speciale Rebibbia


Foto: Libere/i di scegliere: gay lesbo Lgbt - Speciale Rebibbia
PAGINA 15

Testi pagina 15

13Febbraio 2015
uomini e donne vivevano lo spazio pubblico in maniera
diversa. Quest’idea ha portato a un aumento delle poli-
tiche di sicurezza nello spazio pubblico come garanzia
per le donne di non subire violenza. Un approccio criti-
cato dal movimento queer, perché rafforza l’idea della
donna come “vittima” e giustifica le politiche securitarie
e razziste. Perché lo spazio pubblico non è mai neutro:
alcuni soggetti sono out-of-place, altri no. Ad esempio,
una donna bianca di classe media è certamente meno
out-of-place di un uomo nero, migrante, senza docu-
menti. Dunque, è necessario un approccio intersezio-
nale, che consideri altre categorie e non solo quella di
genere. E poi c’è da dire un’altra cosa importante. La
sessualità viene portata all’interno della denuncia di
problematiche sociali, in un tentativo di visibilizzare tut-
ti i soggetti esclusi dallo spazio pubblico per tutta una
serie di motivazioni. Parlo anche di queerizzazione dello
spazio pubblico per un approccio alla militanza, quello
che si chiama frivolezza tattica, ovvero la possibilità di
giocare con il corpo in maniera sovversiva. Il corpo mar-
ginalizzato, out-of-place, criticato, aggredito socialmen-
te, diventa un supporto all’azione e alla militanza e un
veicolo per denunciare. Io, come geografa, considero
il corpo già come uno spazio che si mette in relazione
con gli altri e le performance queer permettono di usare
il corpo come un laboratorio di pratiche.
L’azione queer è un grido di rottura e un inno
alla trasformazione. Quali sono le resistenze
sociali e culturali che ostacolano più
duramente il cambiamento?
Grandi resistenze sono legate alla dissidenza sessuale
che il queer porta avanti. Non si tratta di non essere
eterosessuali, ma di rivendicare pratiche e stili di vita
che vanno fuori dalla coppia normata. Non credo che
nessuno si scandalizzi più di tanto davanti ad una le-
sbica che magari vuole formare una famiglia. Diventa
più complicato quando c’è una donna che si definisce
persona e non donna, che si definisce lesbica perché
si riconosce in una cultura lesbica ma è lontana dalla
trasposizione in ambito omosessuale dell’etero-norma-
tività, e che vede la coppia come cellula di controllo so-
ciale. Preferiamo parlare di alleanze, di amore diffuso, di
circolazione delle energie tra persone cui non interessa
essere integrate. Però è vero che le persone che fanno
queste scelte sono ancora marginalizzate sia social-
mente che istituzionalmente. E dato che la sessualità si
fa con la testa, è un modo di vedere il mondo che vie-
ne criminalizzato e patologizzato. L’altra cosa che crea
delle resistenze sta nel fatto che l’approccio queer sia
dichiaratamente contro il capitalismo e il neoliberalismo.
Inoltre, le resistenze sono anche legate ai singoli conte-
sti. Io, ad esempio, incontro delle resistenze all’interno
dell’Università, perché porto le performance nelle aule
o i testi fuori dall’accademia, ricevendo anche critiche
molto aspre, anche da parte di altri femminismi, per-
ché l’approccio queer mina alcune basi ideologiche.
Ritengo però sia molto importante lo scambio con fem-
minismi diversi dal mio. A Roma, nel 2010 ho iniziato
a frequentare la Casa internazionale delle donne, ed è
stato un momento di apertura e di confronto intenso,
intergenerazionale e di formazione, proprio grazie alle
differenze di approccio che ci caratterizzavano. Insie-
me ad altre abbiamo organizzato il ciclo di seminari
“Queer it yourself!” e tante delle mie riflessioni vengono
proprio dalle rielaborazioni fatte duranti quegli incontri.
Io alla Casa ho anche fatto la mia prima performance.
Frequentando quel luogo e alcune femministe storiche,
ho sentito di essere all’interno di un continuum di pen-
siero. Perché per me alla base della pratica femminista
c’è il riconoscimento del lavoro delle altre, sia quello
attuale che quello passato. ?
QuEER:
ECCENtRICO,
StRANO,
bIZZARRO
Verbo o sostantivo, quando non un semplice aggettivo, “queer”
è un termine inglese da approfondire. Alla fine dell’Ottocento
fra gli anglofoni non era altro che un insulto, ma oggi, queer è
un’orgogliosa professione identitaria per tanti che, non più di
un decennio fa, preferivano invece definirsi “gay”, “lesbiche” o
“transessuali”. Prima degli anni Ottanta, infatti, i queer venivano
definiti “sex offenders”. Essi, cioè, sembravano ledere qualco-
sa - ma cosa? La natura? La legge? La pudicizia? Di lì a breve,
molti intellettuali cominciarono a dubitare che fosse possibile
dire con sicurezza che un certo tipo di godimento fosse “più
normale” di un altro. Michel Foucault (filosofo francese) sosten-
ne nei suoi scritti postumi (L’uso dei piaceri, La causa di sé)
che la sessualità è un’invenzione moderna: una categoria dell’e-
sperienza da inquadrare nella cornice storica e socio-culturale,
piuttosto che nella biologia degli individui. Queer designa dun-
que l’andare fuori dalla tradizionale interpretazione dell’orienta-
mento sessuale (omo/etero/bi-sessuale) e dell’identità di genere
(maschio/femmina). Un modo per scrollarsi da dosso etichette
e abbracciare il fatto che la sessualità (identità, orientamento,
scelta o preferenza che sia) possa essere semplicemente diver-
sa dalla “norma” in uno o più modi. Questa rivoluzionaria visio-
ne ci permette, di guardare alla sessualità come ad un qualcosa
di fluido, irripetibile, mutevole, come qualcosa che contribuisce
al libero “mosaico sessuale” della civiltà. Una civiltà certamen-
te complessa, ma ancora sana perché incapace di rinunciare ai
suoi piaceri.
Marta Mariani
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