Numero 6 del 2014
Cultura e futuro, Addio
Testi pagina 8
6 Giugno 2014
La lettera a Denise Cosco (“Noi
Donne” gennaio c.a.) testimonia una
profonda e commossa ammirazione
per Lea Garofalo, donna “molto più
che coraggiosa” perché ha avuto la
forza di compiere una scelta che “ri-
chiede eroismo… una scelta definitiva
che non consente ripensamenti e che
implica rotture traumatiche anche dei
rapporti familiari”. E infatti la ferma vo-
lontà di sottrarre la figlia alla maledi-
zione del mondo criminale ha con-
dannato Lea a vivere nel terrore,
consapevole che il codice mafioso
esige la vendetta. Vedi il caso para-
dossale di Serafina Battaglia che de-
cide infine di farsi collaboratrice di
giustizia dopo aver tentato inutil-
mente di vendicare il figlio, ucciso
dopo che lei stessa lo aveva indotto,
da uomo d’onore, a vendicare il pa-
dre. Se diversi sono i motivi che spin-
gono le donne a collaborare con la
giustizia, la maggior parte di loro trova
la forza di ribellarsi dopo un trauma, un
terremoto emozionale che le sconvol-
ge nel profondo e le rende incapaci di
continuare a vivere asservite ad un po-
tere totalizzante, al di sopra anche
dell’amore viscerale per i figli o per una
persona molto cara. Famoso il caso di
Rita Atria, suicida a 18 anni: era ob-
bligata a vivere nascosta, nella solitu-
dine affettiva, maledetta dalla stessa
madre la quale, nella tipologia delle
donne di mafia, rappresenta lo stereo-
tipo della “fedele compagna” che,
avendo interiorizzato la cultura mafio-
sa, dipinge come esemplare il proprio
quadro familiare dove i figli vengono
educati cristianamente da una madre
“tutta casa e chiesa”. Come Antonietta
Brusca che, senza scrupolo alcuno,
insieme al marito accoppia le pratiche
religiose con l’illegalità e la violenza.
Perché l’osservanza dei riti fa di un ma-
fioso un bravo cristiano, un semplice
peccatore cui la Chiesa non nega il
suo perdono. Il ruolo storico della
Chiesa nella gestione del potere, e
dunque la sua connivenza con l’am-
biente mafioso, è stato indagato da
vari studiosi, fra cui Umberto Santino
in “Storia del movimento antima-
fia”: si parte dai Fasci siciliani, il movi-
mento che, con l’appoggio di socialisti
e comunisti, ha tentato alla fine del XIX
secolo di togliere dalla miseria le plebi
contadine. Ma i fasci sono stroncati e il
vescovo di Noto propone “caritatevol-
mente” di rinchiudere in manicomio “i
mestatori anarchici e socialisti”. Negli
anni seguenti tuttavia vengono pro-
mosse molte iniziative di carattere assi-
stenziale (esempio le Casse Rurali di
don Sturzo) anche se rimane forte la
potenza di vere famiglie “sacerdotali”,
come quella di Calogero Vizzini: due
vescovi, un arciprete e due preti. Nel
primo dopoguerra gli ambienti reazio-
nari e la mafia soffocano ogni tentativo
di rinascita del Sud con la strage di
Portella della Ginestra, un crimine ese-
crando definito da Ruffini, cardinale di
Palermo, un atto di resistenza “di fronte
alla prepotenza, alle calunnie, ai siste-
mi sleali e alle teorie anti italiane e anti-
cristiane dei comunisti”. Nel progressi-
vo sgretolamento delle forze progressi-
ste, comprese quelle cattoliche come
la voce di don Primo Mazzolari, nel
secondo dopoguerra prosegue la col-
laborazione fra i centri di potere; qual-
cosa si muove solo negli anni ’80 e ’90
quando l’opinione pubblica viene
sconvolta dal sangue delle guerre di
mafia e da quello sparso dai “servitori
dello Stato”. Anche la Chiesa ha i suoi
martiri (don Puglisi e don Diana) ma “le
omelie del cardinal Pappalardo e del
CHIESA, PAROLE CHIARE
CONTRO LE MAFIE
Papa Francesco ha chiamato accanto a sé don Ciotti, il quale ha incitato
gli uomini di Chiesa a non collaborare più con le mafie
di Stefania Friggeri