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Numero 1 del 2012

Il meglio di noi


Foto: Il meglio di noi
PAGINA 40

Testi pagina 40

DIRITTO AL FEMMINILE

L'USUFRUITO COME TUTELA PER LE VEDOVE

di Tatiana Bertolini

NELL'ANTICA ROMA

IL PATER FAMILIAS AVEVA POTERE DI VITA E DI MORTE SUI SUOI SOTTOPOSTI, DONNE COMPRESE

Giuridicamente parlando le donne non sono mai esistite. Né come soggetti titolari di diritti né, spesso, come destinatarie delle norme stesse.

L’unica istituzione giuridico-sociale loro desinata era il matrimonio, ma anche all’interno della famiglia erano dei veri e propri oggetti che passavano dalla manus del pater a quella del marito, nuovo pater familias, cui dovevano cieca obbedienza e fedeltà.

Questo non solo nell’antica Roma, dove il pater familias aveva potere di vita e di morte sui suoi sottoposti, ma anche nelle epoche successive.

Questa situazione ha fatto sì che le donne avessero una posizione non sempre definita dall’istituto delle successioni, fossero figlie o vedove.

Per queste ultime la questione divenne ad un certo punto piuttosto spinosa.

Con l’ampliarsi dei domini di Roma in Italia a poi nel Mediterraneo, e con la venuta in contatto con altre popolazioni che a loro volta avevano altre leggi, si pose il problema dell’applicazione dello jus civile, che come dice il termine si riferiva ai cives ovvero ai soli abitanti della città di Roma. Per coloro che risiedevano immediatamente fuori di essa ma ancora nell’Italia centrale si applicava lo jus gentium (il diritto delle genti), al di fuori della penisola lo jus peregrinum (il diritto degli stranieri).

In questo intrico legislativo le donne che non si sposavano sotto lo jus civile non erano soggette alla manus del pater familias, questo mutamento però investirà successivamente tutto il modo romano e a seguito di ciò, alla morte del coniuge, la vedova rischiava di essere esclusa definitivamente da ogni possibile eredità e quindi, non essendo titolare di alcun altro diritto, vedeva seriamente compromessa la sua stessa sopravvivenza.

Il pater familias provvide così ad un certo punto a lasciare nel proprio testamento un lascito che, non intaccando la sostanza dell’eredità, avrebbe concesso ugualmente alla vedova di che sostentarsi. Secondo il Senato, che in seguito codificò quest’usanza in norma dandole il titolo di “usufrutto”, il bene doveva essere inconsumabile, ovvero inesauribile, tali erano, infatti, i prodotti dei campi, in quanto lo scopo primo di questa istituzione era di tipo alimentare. Ma poiché anche le norme si evolvono nel tempo, in seguito nei lasciti testamentari troviamo anche beni soggetti ad usura o consumo.

Esso viene definito un diritto reale in quanto ha per oggetto appunto un bene, una cosa concreta (res in latino) e non un diritto astratto. Tra questi beni possiamo successivamente trovare anche gli schiavi, considerati a quei tempi alla stregua di oggetti parlanti. A tal proposito Cicerone sollevò la questione se i figli di un’ancella potessero essere considerati alla stregua di frutti, quindi di proprietà dell’usufruttuaria della stessa.

Momento importante per questo era la “perceptio” che permetteva all’usufruttuario di fare propri i frutti al momento in cui il suo diritto era sorto, anche se erano stati coltivati da un altro.

La durata di questo istituto era illimitata e si estingueva con la morte del titolare.

Anche se in origine questa norma giuridica era riservata, come spesso succedeva, ai soli cittadini romani, nel corso dei secoli venne applicata a tutti e in seguito il diritto venne riconosciuto anche ad alti soggetti oltre le vedove.

L’esame della storia dell’usufrutto può portare a due tipi di riflessioni. Da una parte l’evoluzione costante del diritto, che si arricchisce ulteriormente quando entra in contatto con realtà sociali e giuridiche differenti, e dall’altra l’osservazione che i diritti pensati per tutelare le donne producono poi effetti positivi anche sul resto dell’intera società.



























iuridicamente parlando le donne non sono

desinata era il matrimonio, ma anche al-
l’interno della famiglia erano dei veri e propri
oggetti che passavano dalla man us del pater a
quella del marito, nuovo pater familias, cui do-
vevano cieca obbedienza e fedeltà.
Questo non solo nell’antica Roma, dove il pater
familias aveva potere di vita e di morte sui suoi
sottoposti, ma anche nelle epoche successive.
Questa situazione ha fatto sì che le donne
avessero una posizione non sempre definita
dall’istituto delle successioni, fossero figlie II! -'
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Per queste ultime la questione divenne ad un .
certo punto piuttosto spinosa.
Con l’ampliarsi dei domini di Roma in Ita—
lia a poi nel Mediterraneo, e con la venuta
in contatto con altre popolazioni che a loro
volta avevano altre leggi, si pose il proble-
ma dell’applicazione dello jus civile, che
come dice il termine si riferiva ai cives ov-
vero ai soli abitanti della città di Roma. Per
coloro che risiedevano immediatamente

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fuori di essa ma ancora nell’Italia centrale si applicava lo
jus gentium (il diritto delle genti), al di fuori della peni—
sola lo jus peregrin um (il diritto degli stranieri).
In questo intrico legislativo le donne che non si sposavano
sotto lo jus civile non erano soggette alla manus del pa-
ter familias, questo mutamento però investirà successi-
vamente tutto il modo romano e a seguito di ciò, alla mor-
te del coniuge, la vedova rischiava di essere esclusa defi—
nitivamente da ogni possibile eredità e quindi, non essendo
titolare di alcun altro diritto, vedeva seriamente com-
promessa la sua stessa sopravvivenza.
Il pater familias provvide così ad un certo punto a lasciare
nel proprio testamento un lascito che, non intaccando la
sostanza dell’eredità, avrebbe concesso ugualmente alla
vedova di che sostentarsi. Secondo il Senato, che in se-
guito codificò quest’usanza in norma dandole il titolo di
“usufrutto”, il bene doveva essere inconsumabile, ovve-
ro inesauribile, tali erano, infatti, i prodotti dei campi, in
quanto lo scopo primo di questa istituzione era di tipo ali-
mentare. Ma poiché anche le norme si evolvono nel tem—
po, in seguito nei lasciti testamentari troviamo anche beni
soggetti ad usura o consumo.
Esso viene definito un diritto reale in quanto ha per og-
getto appunto un bene, una cosa concreta (res in la-
tino) e non un diritto astratto. Tra questi beni pos-

mai esistite. Né come soggetti titolari di di— \ siamo successivamente trovare anche gli schiavi,
ritti né, spesso, come destinatarie delle nor- considerati a quei tempi alla stregua di oggetti par-
me stesse. lanti. A tal proposito Cicerone sollevò la questio-
L’unica istituzione giuridico-sociale loro ne se i figli di un’ancella potessero essere consi-

derati alla stregua di frutti, quindi di proprie-

u,‘ tà dell’usufruttuaria della stessa.

Momento importante per questo era la “per—
cepti'o” che permetteva all’usufruttuario di
fare propri i frutti al momento in cui il suo
diritto era sorto, anche se erano stati coltivati
da un altro.

La durata di questo istituto era illimitata e si
estingueva con la morte del titolare.

Anche se in origine questa norma giuridica era

riservata, come spesso succedeva, ai soli citta—

dini romani, nel corso dei secoli venne applicata

a tutti e in seguito il diritto venne riconosciuto

anche ad alti soggetti oltre le vedove.

L’esame della storia dell’usufrutto può portare a
due tipi di riflessioni. Da una parte l’evoluzione

costante del diritto, che si arricchisce ulterior-

mente quando entra in contatto con realtà socia-

li e giuridiche differenti, e dall’altra l’osservazio-

ne che i diritti pensati per tutelare le donne pro-
, ducono poi effetti positivi anche sul resto del—

À l’intera società.










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