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Numero 3 del 2015

8 Marzo al tempo delle crisi


Foto: 8 Marzo al tempo delle crisi
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Testi pagina 9

7Marzo 2015
Nel suo “Identità e violenza”, uscito in Italia negli anni in
cui si comincia a parlare di “scontro di civiltà”), Amartya
Sen riflette a lungo su quanto sia problematica la condizione
esistenziale di chi vive la competizione fra due diverse iden-
tità (ad es. “sono cittadino francese o sono in primo luogo
un musulmano?”) soprattutto se, nel contesto sociale in cui
vive, la persona viene vista non nelle sue molteplici sfaccet-
tature identitarie ma come membro di una singola identità,
religiosa oppure etnica (“L’ebreo è un uomo che gli altri uo-
mini considerano ebreo, è l’antisemita che fa l’ebreo”, J.P.
Sartre). Parole profetiche quelle di A. Sen se riferite ai ripetuti
casi di violenza da parte di chi aderisce al fondamentalismo
religioso: attraverso internet, o i compagni spesso incontrati
in carcere, il giovane musulmano riesce a dare un senso al
vuoto della sua vita recuperando le radici ataviche e facen-
dosi membro della “Umma”, la comunità dei fedeli; e dopo
aver cancellato le sue molteplici affiliazioni, identificando se
stesso solo ed esclusivamente come un autentico musulma-
no, il futuro terrorista, ormai rinato (born again), entra nella
comunità dei combattenti, ne sposa l’identità settaria e con-
clude l’affiliazione con un viaggio iniziatico. E oggi è forte il
richiamo esercitato dall’ Isis a causa dei successi militari e
del potente messaggio politico: il ritorno del Califfato, l’età
dell’oro dell’islam, che restituirà ai musulmani “la dignità, la
potenza, i diritti e l’autorità del comando” (Al Baghdadi).
Pur tenendo presente tutte le grandi differenze del
contesto storico e culturale, Loretta Napoleoni nel suo
libro intitolato all’Isis argomenta così: “Negli anni quaranta
ebrei di varie parti del mondo si unirono in una lotta contro
gli inglesi per riconquistare la loro antica terra, una patria
ancestrale donata da Dio, dove potevano nuovamente tro-
vare la liberazione. Come l’antica Israele è sempre stata
per gli ebrei la Terra Promessa, così il Califfato rappresen-
ta per i musulmani lo stato ideale, la nazione perfetta in cui
trovare la salvezza dopo secoli di umiliazione, razzismo e
sconfitte per mano degli infedeli, ossia delle potenze stra-
niere e dei loro associati musulmani.” L ’Isis, infatti, rap-
presenta un genere di stabilità non insolito nelle regioni
che hanno sofferto conflitti prolungati dove la popolazione
vive da anni nella miseria e nel terrore: vittima della violen-
za scatenata dalle guerre e dagli scontri tribali fra gruppi
religiosi o fazioni politiche, vittima della corruzione delle
èlites al potere colluse con gli interessi stranieri, vittima
del cinismo dei grandi della terra che stanno a guardare,
anzi no: foraggiano con soldi ed armi il gruppo “amico”
e fanno la guerra per procura. E come ieri in Afganistan i
telebani, dopo la dissoluzione dello Stato, hanno riempi-
to il vuoto politico cacciando i signori della guerra, oggi
l’Isis ha riportato l’ordine nelle regioni del Medio Oriente,
dove l’autorità dello Stato si era dissolta nell’anarchia della
guerra permanente.
Lo Stato islamico non prevede per le donne alcuna at-
tività extradomestica, ma ha sviluppato programmi as-
sistenziali e sanitari, coma la campagna antipolio, in un
miscuglio di premoderno e moderno incomprensibile per
l’Occidente. Dove nel settecento, grazie all’influenza be-
nefica sul corpo sociale esercitata dai moralisti inglesi e
dagli illuministi francesi, la religione ha cessato di essere
una bandiera di combattimento; nonostante i privilegi di cui
hanno continuato a godere le chiese cristiane, in Europa
vengono scritti i primi Statuti attraverso i quali al cittadino
viene riconosciuta la libertà religiosa, e dunque la libertà
di pensiero e di espressione. Anche nel mondo musul-
mano, multiforme e diversificato come hanno dimostra-
to le cosiddette “primavere arabe”, sono presenti oggi
forze che chiedono emancipazione dal potere religioso
(ovvero dal patriarcato, dal sessismo, dalla omofobia, dal
fondamentalismo) ma non v’è dubbio che questo processo
sarà lungo, troppo lungo, soprattutto se consideriamo il po-
tere esercitato dagli stati teocratici e dai loro petroldollari. E
intanto in Europa si leva sempre più minacciosa la voce di
chi chiama alla “guerra di civiltà”, individuando la soluzione
di una crisi ormai globale attraverso misure inefficaci ma
di forte impatto mediatico. Un quadro fosco perché se ci
sforziamo di sfuggire alla scioccante emotività del presente
e guardiamo agli avvenimenti in una prospettiva di lungo
respiro, ne emerge che non saranno né la politica securita-
ria né l’attività dell’intelligence a liberarci dal fanatismo dei
criminali che uccidono in nome di Allah, ma solo l’impegno
delle forze che condizionano la politica internazionale a ri-
pulire il verminaio che appesta il Medio Oriente. A partire
dalla questione israelo-palestinese. b
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