Numero 9 del 2006
Il grande nulla
Testi pagina 7
noidonne settembre 2006 7
Oggi ci risiamo: i conflitti, per quan-
to ineliminabili dalle dinamiche umane,
non sono destinati ad esplodere in vio-
lenza armata. Basta prevenire le conse-
guenze che possono diventare irrimedia-
bili ed estendersi senza limiti.
Il conflitto israelo-palestinese abita il
Medioriente da sessant'anni. Si era com-
preso subito che chi si doveva spostare
per fare posto ad altri senza neppure i
risarcimenti previsti dalle Nazioni Unite
non avrebbe mai riconosciuto il diritto
dell'altro; tuttavia le trattative sono
state sempre minimali, le risoluzioni
approvate non rispettate, le iniziative
concrete paralizzate. A prova della
debolezza di un'Onu condizionata dai
governi forti. Arafat e Sharon, ormai
lontani nella storia, possono perfino
essere rimpianti, ma i problemi si sono
metastatizzati. L'attesa di tanti decenni
confidando nei rinvii non giustifica nes-
suno. Anche perché il conflitto si allar-
ga e Israele non intende aspettare che
un Iran più forte e preparato guidi il
jihad in tutti i territori islamizzati. Noi,
ancor oggi, siamo divisi fra le ragioni di
Israele e della Palestina: ci rendiamo
conto che, sostenendo con tutte le
migliori intenzioni le ragioni delle vitti-
me, confermiamo la logica amico-nemi-
co? Per manifestare non la solidarietà a
chi è oppresso (che è doverosa, ma 'faci-
le'), bensì la volontà ferma di pace,
occorre partire dalla conoscenza delle
ragioni che si danno - a prescindere da
ragioni e torti - i contendenti e cercare
come pensare e dove inserire proposte di
negoziato.
I movimenti pacifisti sono rimasti
ancora una volta nell'equivoca posizio-
ne di confondere il 'dover essere' con
l''essere'. Invece non si fa politica
costruttiva se non si ha coscienza di
dover partire dalla realtà. Pena il tro-
varsi sempre più in pochi o il diventare
integralisti.
Una delle cose più gravi dei mesi
scorsi è stata, infatti, la divisione lace-
rante in seno ai gruppi "nonviolenti"(di
cui faccio parte) a proposito del rinno-
vo dei finanziamenti alla partecipazio-
ne italiana alla missione in Afganistan.
Si era arrivati a definire "assassini" i
parlamentari che hanno votato il prov-
vedimento (tutti, meno quattro ostina-
tamente contrari alla violenza di stato),
ad assolvere i senatori che avevano
votato la fiducia posta dal governo
come se non fosse stata riconducibile al
medesimo provvedimento e, ancor peg-
gio, a dire che sarebbe
meglio tornare al "caima-
no".
Si deve il massimo
rispetto per chi ha idee così
forti sui principi; ma non
sono eludibili due corolla-
ri: non viviamo in un
mondo di pace (se negli
anni in cui in Europa, dopo
tanti secoli di massacri, si
ha tregua stabile, nel resto
del mondo ci sono state
decine di guerre con milio-
ni di morti, non si può dire
che abbiamo goduto di
vera pace) e non toccherà
certamente alle nostre
generazioni realizzare il
miracolo della nonviolen-
za universale. Proprio la
divisione tra i pacifisti è
speculare al modello 'tale-
bano' dell''io posseggo la
verità e tutti gli altri sono
nell'errore'. Quando abbia-
mo fatto uscire dal Libano i connazio-
nali era preferibile mandare una nave
delle crociere Costa o della flotta mili-
tare? Che fare quando le presenze
dell'Onu disarmate vengono uccise o
fatte evacuare? Ci colpevolizza di più
abbandonare il campo alla guerra inter-
na o inviare forze armate di interposi-
zione? E noi, donne? Fa impressione leg-
gere che molte pacifiste israeliane
hanno subito la paura dell'accerchia-
mento e approvato la guerra. Fa ancora
più impressione vedere lo strazio delle
vittime e dei tanti bambini uccisi. Ma fa
anche impressione che nel nostro mondo
femminile ci sia calo di tensione e, al
massimo, si esprima deplorazione, dolo-
re, reiterata solidarietà alle vittime, tipi-
che della vittimizzazione classica della
donna-che-subisce, senza tentativi di
sentirsi corresponsabili, senza vedere
oltre, senza studiare le situazioni per
sapere prevenire il peggio. I bambini di
questa guerra, infatti, sono "tutti i bam-
bini", anche i nostri: la loro innocenza
non merita la perdita delle speranze nel
futuro.
"Sorridete, dice Vasco Rossi, perché
domani non ci sarà la guerra": è diven-
tato difficile sorridere al futuro; ma
resta la prima cosa da imparare a fare.
gli orrori infiniti del mondo che va in fiamme e le
responsabilità dell'Occidente, il 'che fare' propositivo e non
ideologico del movimento non violento
Pippo Rizzo, Pupi s.d. ma, 1929
Vittorio Corona, I corvi, s.d. ma 1926 circa