Numero 8 del 2014
Viaggiatrici
Testi pagina 7
5Luglio-Agosto 2014
Nel 2007 ho scritto un pamphlet, Io cattiva? No, io precaria, sottotitolato Il manuale del lavoratore fl essibile (Edizioni Edimond) cui anche NOI-DONNE dedicò molto spazio con un’intervista fi rmata da Donatella Orioli.
Erano gli anni in cui si abusava dell’aggettivo precario, trasformato in sostantivo ad
indicare una condizione professionale - quindi esistenziale - di assoluta incertez-
za. Ero abbastanza giovane e arrabbiata. Abbastanza giovane da riuscire ancora ad
indignarmi, abbastanza arrabbiata da avere fi ducia che le cose potessero cambiare.
Costruito sotto forma di dialogo tra un dipendente a tempo determinato e un dato-
re di lavoro, evidenziavo come il vero cancro del precariato, per i giovani, non fosse
tanto l’instabilità economica o l’impossibilità di accendersi un mutuo per comprare
casa, quanto il mobbing - oggi anche bossing - che ne sarebbe derivato. Che il ricatto
sia oggi una strategia ‘selettiva’ che andrebbe uffi cializzata sotto la voce ‘ristruttura-
zione’ o ‘riorganizzazione’ aziendale, è conclamato. Orioli mi chiese perché avessi
titolato al femminile. Risposi che era giusto così, perché il maschile sarebbe stato
universale ma io volevo dare la mia prospettiva di donna, senza alibi. E ancora, alla
domanda se avevo rimarcato che le donne, sul lavoro, hanno più diffi coltà degli uo-
mini, risposi che le donne, spesso, fanno mobbing alle donne, indipendentemente
dalle gerarchie, quindi colleghe tra colleghe, dirigenti a sottoposte. La penso ancora
così. Le donne sanno essere le migliori nemiche delle donne, perché sanno utilizzare
il patrimonio di confi denze per trasformalo in debolezze e vulnerabilità. Una don-
na può distruggerti. Anche un uomo, per carità, ma una donna sa e può essere più
subdola, più scientifi ca. Ce l’ho con il mio stesso genere? No, assolutamente. Anzi,
le mie più grandi amiche le ho incontrate sul lavoro. Caterina è un’assessora comu-
nale di indiscusse capacità conosciuta proprio nei rispettivi ruoli. Per un po’ ci siamo
squadrate, con circospezione, per verifi care se quell’istintiva empatia era fondata.
Le ho rivelato le mie più grandi fragilità certa che saprà custodirle. Isa, che è addirit-
tura una collega, mi prende in giro perché ai messaggi in cui mi scrive ‘ti voglio bene’
io rispondo ‘a presto’. Mi ha ‘educata’ ad essere un po’ meno fredda e ha capito che
mi serviva tempo per sintonizzarmi su frequenze di confi denza. Facciamo lo stesso
mestiere, entrambe libere professioniste, eppure ogni volta che possiamo ci aiutia-
mo con genuino slancio e sincero entusiasmo. Maria Rosa, psicoterapeuta, era rela-
trice ad un dibattito di cui io ero moderatrice. Ho scoperto con lei un mondo, quello
legato alla genitorialità e alla maternità, che ci ha portato a scrivere un libro insieme.
Questo per dire che la differenza, alla fi ne, la fanno gli individui e il loro senso della
libertà. Non solo ‘libero professionale’, ma interiore. E io credo che ci sia una gene-
razione, la mia, quella delle quarantenni, che è perlopiù sana. Che ha potuto credere
solo nelle proprie capacità e oggi si permette il lusso di vivere sì nelle incertezze - di
cui era a conoscenza fi n dai banchi di scuola - , ma con la volontà di non abdicare a
una propria idea di moralità. Che nella crisi sopravvive senza fare lo sgambetto a
nessuno, che aborre il principio vita mea mors tua, che cerca di imparare da chi ha
più esperienza, senza ‘fottere’ nessuno. Non sarà così per tutti, lo so, ma se lo è per
tanti, se lo sarà ancora di più per chi è più giovane, allora forse certe preconizzazioni
si potranno evitare. E il lavoro tornerà ad essere un luogo di relazioni e umanità.
QUARANTENNI, OGGI
di Camilla Ghedini
a chi sa leggere un bilancio, l’evidenza
dei robot che montano i motori contro
la pretesa che il lavoro sia come prima,
l’indebitamento dello Stato contro la fal-
sa idea che il mutuo sia un diritto e non
lo stesso debito, gli 80 euro ritenuti ele-
mosina e non dieci miliardi immessi sul
mercato... - bisogna fare tutti gli sforzi
possibili per non perdere la cultura che
abbiamo costruito e che deve valere
per tutti. Anche perché solo la cultura
può tirarci fuori dalla crisi.
Prevedere, dunque, di andare nelle
scuole a svegliare le ragazze che si cre-
dono uguali ai maschi, informare a tutto
campo su tutto, non trascurare nemme-
no un solo fatto di violenza (i femminicidi
e i maltrattamenti, ma anche la mafi a e
la corruzione), cercare tutte le solidarie-
tà e complicità (anche con gli uomini del
“noi-no” o con le femministe cattoliche
alle prese con un attacco forte alla “te-
oria del gender”), approfi ttare di ogni
ricorrenza (per esempio oggi, mentre
scrivo, si celebrano i 70 anni dell’Anpi)
per metterci dentro il pezzo della nostra
storia che ci è dovuta, chiedere alle elet-
te di ogni piccola o grande istituzione in-
terventi a favore di qualunque iniziativa
di-con-per le donne, presentare libri e
fi lm, inventarsi qualche “noi-donne”-
aperitif o caffè-”noi-donne” per parlare
di noi, della rivista, del mondo (non ci
siamo solo noi: le ragazze nigeriane ra-
pite non sono ancora ricomparse)....
Mia care, non siamo “più buone” per na-
tura, non siamo invulnerabili, anzi siamo
tentate dall’omologazione; ma abbiamo
avuto esperienze storiche singolari e
possiamo dare una mano a cambiare la
società, a fare riforme. Non per interessi
di genere, non per ideologia femminista,
nemmeno per i fi gli e le fi glie, ma per-
ché solo a partire da noi (magari lo fa-
cessero anche i maschi di analizzarsi e
partire da quello che sono come esseri
umani e non dal loro ruolo di potere) si
possono dare indirizzi di valore alla ne-
cessità di rinnovare il mondo. Sono tanti
i modi di continuare a fare resistenza...?