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Numero 1 del 2014

DemoBoom, vivere un pianeta affollato


Foto: DemoBoom, vivere un pianeta affollato
PAGINA 49

Testi pagina 49

43Gennaio 2014
 
Quando e perché succede qualcosa nella testa di
questa donna ?
Quando si rompe la sua routine. Le ripetizioni del ‘giorno
dopo giorno’ ci automatizzano. Si creano dei meccani-
smi rispetto ai quali siamo incapaci di identificare e ca-
pire il ‘come’ vengano a determinarsi. Siamo abituati a
convivere con essi ed è molto difficile cambiare quando
ci rendiamo conto che non ci sentiamo bene, come se
non fossimo artefici di ciò che facciamo. Fino a quando
un evento, a volte ‘aneddotico’, irrompe nella nostra vita
e ci costringe ad agire. Così Luisa si sveglia un giorno
e pensa che deve riprendere il controllo della propria
vita. Purtroppo le cose non sono così facili. Solo quando
sperimenta qualcosa che la fa sentire bene (un’ora di
compagnia e di piacevole conversazione in lavanderia)
può trovare la forza di cambiare. Sembra semplice, ma
non lo è. Da qui il valore del supporto esterno.
Secondo te le donne oggi hanno ancora obiettivi im-
portanti per cui combattere?
Ho scelto di raccontare la storia di una donna anziana
proprio per rafforzare l’idea che non è mai troppo tardi
per cambiare le cose, anche se hai 85 anni. Naturalmen-
te, il discorso può essere esteso a tutte le generazioni
ed i generi, uomini e donne. Oggi ci sono molte cose
per cui lottare, ma penso che dovrebbe essere una lotta
di tutti, non solo delle donne, per essere veramente rea-
le. Quello che mi spaventa è quanto si sta perdendo di
quello che pensavamo si fosse già ottenuto.
 
Che diresti a una ragazza che vuole fare la regista? Esse-
re donna può creare problemiin ambito professionale?
Non credo che essere donna sia un impedimento nel
mondo del cinema. E se lo fosse, ci sono tanti altri im-
pedimenti, molto più difficili da combattere, che forse
lo mettono in secondo piano. In Spagna, per esempio,
le donne hanno più punteggi nei bandi per le sovven-
zioni pubbliche rispetto agli uomini ma, se non hai una
vita organizzata (non dimentichiamo che il cinema è un
privilegio di pochi) trovo che il problema sia altrove, in
un luogo più invisibile, nella gestione e conciliazione del
tempo. La maggior parte delle giovani cineaste deve
lavorare sui propri progetti nelle poche ore libere che ri-
mangono dopo giorni di lavoro-maratona (cioè se sono
abbastanza fortunate da essere state assunte da qual-
cuno), di lavatrici da fare (per usare un›immagine del
corto) e di cura per i loro bambini (se possono includere
la maternità nei loro progetti di vita). Non è un panorama
facile o incoraggiante per nessuno, davvero. Quindi il
mio unico consiglio per le giovani registe è di non rinun-
ciare o abbandonare il loro spazio di creatività. b
Storia di carceri
e amori Spezzati
Valeria Golino interpreta
armida miserere, direttrice
di carcere nel film ‘come il Vento’
Seria, composta, un po’ dimessa, abiti severi blu e grigi, capelli lisci da signora, il piglio dell’autorità e la consapevolezza della sofferenza, fuori e dentro di lei. Così trasformata, Valeria Golino
è la protagonista del film ‘Come il vento’ - presentato in anteprima al
Festival Internazionale del Film di Roma nella sezione Fuori Concorso
e diretto dal regista Marco Simon Puccioni - in una delle interpreta-
zioni forse più intense e mature della sua carriera, anni luce lontana
da tanti suoi ruoli da femme fatale, brillante e femminile, originale ed
eccentrica, sguardo languido e corpo perfetto. Liberamente ispirato
alla vera storia di Armida Miserere, una delle prime donne direttrici
di carcere in Italia, il film ha emozionato critica e pubblico, nonostante
il notevole rigore registico, sia per la tematica importante, quella di
una donna che vive l’ambito carcerario in anni difficili, perde l’amato
compagno in un attentato mafioso e dedica la sua intera vita al lavoro,
e sia per la prova attoriale di Valeria Golino, che col passare degli anni
diventa sempre più brava ed intensa. La descrizione sobria ed asciut-
ta della vita carceraria, gli albori della legge Gozzini ed i tragici fatti di
mafia avvenuti tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta trovano
il giusto spazio, all’interno del film, nel racconto poeticamente malinco-
nico della vita di Armida. Il film inizia quando lei ed Umberto Mormile
(interpretato da un misurato Filippo Timi), un educatore impegnato
nelle attività riabilitative per i detenuti (in particolare i laboratori teatrali),
sono già una coppia stabile e molto affiatata: si sono conosciuti nel
carcere di Opera, dove lui ancora lavora, mentre lei dirige il carcere di
Lodi. Il film si sofferma volutamente, nella prima parte, sulla pienezza
dell’amore dei due, sul loro tentativo di vivere una vita normale ‘fuori’,
sui loro sogni (la perdita di un figlio durante la gravidanza è uno dei
tanti dolori che segnano
la vita di Armida), sul loro
mondo di lavoro e di pochi
amici (bravi anche Fran-
cesco Scianna e Chiara
Caselli), per mettere an-
cora più in risalto, nella
seconda parte del film, il
vuoto e la solitudine della
vita di Armida quando, ri-
masta sola dopo l’omicidio
di Umberto avvenuto nel
1990 - l’uomo venne freddato ad un semaforo forse per una vendetta
di detenuti che speravano di corromperlo per ottenere benefici di leg-
ge - accetta incarichi nelle carceri più difficili d’Italia (Pianosa, Paler-
mo), cerca di amare di nuovo ma, piegata a poco a poco da delusioni
ed intimidazioni, inizia a perdere la sua grinta. Sempre professionale
nella sua facciata esterna dove si mostrava ‘dura’ - nel film si ricorda
tra l’altro che la donna usava la mimetica per entrare in sezione -, ri-
spettata da detenuti e colleghi, Armida, che dopo anni di processi
viene a conoscenza dei nomi degli assassini e mandanti del suo unico
vero amore, scopre a poco a poco di avere un vuoto incolmabile den-
tro, che la condurrà ad un gesto estremo, insieme dettato dalla rabbia
e dall’amore. “Mi ha colpito molto la vicenda di questa donna - ha
raccontato il regista, da sempre interessato a tematiche sociali - che,
catapultata in una delle istituzioni più maschiliste ed opprimenti del-
la società, senza rinunciare alla sua femminilità, riusciva a governare
gli uomini reclusi ed a stabilire rapporti camerateschi e d’amore con i
suoi compagni di lavoro e m’interessava capire come e perché questa
fibra, apparentemente così solida, fosse arrivata a spezzarsi. Ho cer-
cato uno stile semplice, che desse spazio alla verità del personaggio,
cercando di miscelare il film di impegno civile con la storia d’amore,
gli elementi più intimi ed emotivi con l’aspetto sociale”. Nel suo ultimo
biglietto Armida lascerà detto: ‘vento sono stata’, da qui il titolo del film,
un vento che, con le parole di un noto cantautore, oggi ‘soffia ancora’.
E. C.
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