Numero 3 del 2006
Libera di scegliere. Speciale 60 anni voto alle donne
Testi pagina 8
noidonne marzo 2006
noidonne pag 8
Le nuove istituzioni e la classe dirigen-te antifascista furono chiamate alla
fine della guerra a riscrivere le regole che
nella cittadinanza repubblicana coniu-
gassero l'espressione dei diritti civili e
politici della tradizione liberale con l'in-
troduzione dei doveri sociali propri
della cultura democratica, volta a
impegnare le istituzioni nel rispondere ai
bisogni materiali dei cittadini e nel
difendere la dignità umana di ciascuno.
Sul diritto di voto alle donne De
Gasperi e Togliatti concordavano: Pci e
Dc miravano a radicarsi nella nuova
democrazia quali partiti di massa
facendo della costruzione del consenso
una prospettiva strategica; anche se poi
le basi dei partiti restavano più diffiden-
ti circa la crucialità dell'ingresso delle
donne nella vita politica.
Nell'ottobre del 1944 la Commissione
per il voto alle donne dell'Udi si era
recata dal presidente del Consiglio
Bonomi "per esprimergli la necessità che
venga concesso alle grandi masse fem-
minili il diritto di partecipare alle ele-
zioni amministrative. Il presidente del
Consiglio ha assicurato le delegate di
tutto il suo interessamento per questa
importante questione" (Noi donne, 25
ottobre 1944). L'Udi inoltre avvia la sot-
toscrizione "da far firmare dal maggior
numero di donne possibile" al fine di
richiedere al Governo di Liberazione
Nazionale il diritto di voto e di eleggibi-
lità. Di un'altra mozione si ha notizie da
"Noi Donne" del 15 novembre 1944 fir-
mata dalle rappresentanze dei centri
femminili del Partito liberale,
Democratico cristiano, Democratico del
lavoro, Partito d'azione, Partito sociali-
sta, partito comunista italiano per chie-
de che le donne possano partecipare alle
elezioni amministrative "su un piano di
assoluta parità con gli uomini".
Le donne dei diversi partiti preparano
anche la "settimana per il voto alle
donne" per promuovere la firma della
petizione lanciata dall'Udi ("Noi
Donne", 15 novembre 1944).
Si formerà il Comitato nazionale pro-
voto che unisce: Udi, centri femminili
del Partito liberale, Democratico cristia-
no, Democratico del lavoro, Partito d'a-
zione, Partito socialista, Partito comuni-
sta italiano, Partito repubblicano,
Sinistra Cristiana, le associazioni fem-
minili Alleanza "pro suffragio" e la
Federazione donne laureate e diplomate
("Noi Donne", 15 gennaio 1945).
Così il 31 gennaio 1945 fu emesso il
decreto legislativo luogotenenziale che
sancì il suffragio universale, pubblicato
il 1° febbraio. Nel decreto non è però
prevista l'eleggibilità delle donne, che
sarà sancita solo dal decreto n. 74 del
10 marzo 1946: "Norme per l'elezione
dei deputati all'Assemblea costituente"
il cui articolo 7 recita "Sono eleggibili
all'Assemblea Costituente i cittadini e le
cittadine italiane che, al giorno delle
elezioni, abbiano compiuto il 25° anno
di età". La prima volta che le donne
poterono esercitare il loro diritto eletto-
rale, attivo e passivo, fu in occasione
delle elezioni amministrative, nel mode-
nese le donne votarono per la prima
volta il 31 marzo 1946. La partecipa-
zione alle urne fu altissima.
In attesa del referendum istituzionale
del 2 giugno 1946 che avrebbe decreta-
to la scelta repubblicana (circa
12.700.000 voti a favore, quasi due
milioni in più dei sostenitori della
monarchia) e che avrebbe formato la
Costituente (per scrivere la
Costituzione), nell'aprile 1945 si era
istituita la Consulta, un'assemblea ecce-
zionale e transitoria, che ebbe come
principale compito quello di elaborare
una legge elettorale per l'Assemblea
costituente. La Consulta fu quindi il
primo organismo politico nazionale in
cui entrarono donne: 13 donne (10
dell'Udi), invitate direttamente dai par-
titi. Tra queste donne vi era l'operaia
Abele Bei, la maestra Clementina
Galigaris, la sarta Rina Picolato e la
democristiana Angela Guidi Cingolani.
E proprio di quest'ultima un articolo
datato 15 ottobre 1945 di "Noi donne"
riporta un intervento di risposta alla
mancanza di fiducia che le donne da
sempre riscontravano tra i politici: "peg-
gio di quello che nel passato hanno
saputo fare gli uomini, le donne certo
non potranno fare mai".
Rina Picolato, sarta di Torino, orga-
nizzatrice dei Gdd scrive sulle pagine di
"Noi Donne" del 31 agosto 1945: "[…]
le donne porteranno un contributo con-
creto alle riunioni della Consulta, solle-
vando e discutendo i problemi dell'in-
fanzia, della scuola, i problemi così
complessi dell'assistenza, quello gravis-
simo dell'alimentazione. […] le donne
hanno già dimostrato di essere capaci di
assolvere compiti difficili di responsabi-
lità. […] sono certa che esse potranno
tenere il loro posto ed assolvere i loro
compiti in modo pari a quello degli
uomini anche in questo massimo organo
governativo".
*Presidente CDD, Modena
Secoli di negazione
I motivi per cui a lungo si negò il voto alle donne
risalgono già ai provvedimenti del Comitato di
salute pubblica del 1793, per il quale: "Le donne
sono poco capaci di concezioni elevate, di medi-
tazioni serie, e la loro naturale esaltazione sacri-
ficherebbe sempre gli interessi dello stato a tutto
ciò che di disordinato può produrre la vivacità
delle passioni".
Così come nella Francia napoleonica, anche nelle
Repubbliche giacobine italiane e poi nell'Italia
unita l'emotività femminile viene letta come ele-
mento turbativo del nuovo assetto istituzionale e
sociale. La prima petizione a favore del suffragio
femminile è inviata al Parlamento italiano nel
1881 da un gruppo che si definiva "cittadine ita-
liane": sono le donne lombarde che con l'estensio-
ne del Codice Albertino si erano viste negare,
come pure le donne toscane, un diritto già acqui-
sito. Nel 1888 è l'intervento personale di Crispi
alla Commissione parlamentare che si occupava
delle riforme amministrative che determina l'e-
sclusione delle donne dall'elettorato. Altre date
significative sono il 1906, quando Anna Maria
Mozzoni promuove la petizione del Comitato
nazionale pro-suffragio femminile, e il 1907,
anno in cui si istituisce la Commissione ministe-
riale che impiegò poi cinque anni per esprimere
parere negativo sulla concessione dei diritti
amministrativi e politici alle donne.
L'8 marzo 1919 la Camera dei deputati decide
sul voto alle donne: 292 deputati favorevoli, 42
contrari. Il 3 settembre si apre la discussione sul
disegno di legge presentato in luglio dalla
Commissione presieduta da Gasparotto ed entro
lo stesso mese si decide: voto alle donne a partire
dalla legislazione successiva, con l'esclusione
però delle prostitute. Il progetto di legge non poté
essere approvato anche dal Senato, a causa dello
scioglimento anticipato delle Camere.
E' del novembre 1925 la legge n. 2125 presentata
da Mussolini, relativa alla ammissione delle
donne all'elettorato amministrativo. L'elettrice
doveva avere 25 anni (gli uomini 21), per eserci-
tare il diritto di voto doveva farne esplicita
domanda, doveva appartenere ad alcune specifi-
che categorie (decorate, madri e vedove dei cadu-
ti in guerra, benemerite pubbliche) e dovevano
versare almeno 100 lire annue di contributi
comunali. Nel luglio 1926 l'abolizione degli orga-
nismi rappresentativi locali chiude ogni discus-
sione sui diritti politici, non solo femminili.
Il lungo cammino del nostro voto
Per ricordare
brevi notizie storiche
*Caterina Liotti