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Numero 3 del 2006

Libera di scegliere. Speciale 60 anni voto alle donne


Foto: Libera di scegliere. Speciale 60 anni voto alle donne
PAGINA 7

Testi pagina 7

noidonne marzo 2006
noidonne pag 7
Quando votai per la prima volta mi pare fosse il 1990, nonmi ricordo neanche per che occasione fosse, né tantomeno
per che cosa votai. Mi bastava avere l'ebbrezza di quella car-
tolina tra le mani, che era arrivata a me, proprio al mio nome
e cognome, io che avevo sempre ricevuto solo cartoline e let-
tere profumate. La portai anche a scuola, la cartolina eletto-
rale, prima tra le mie amiche a ricevere il diritto di parola
nelle questioni importanti. "E allora che voti? Chi voti? Cos'è
che scrivi? Che cosa hai deciso?". Non ci pensai proprio quan-
do salii i gradini della mia vecchia scuola elementare, mi
scordai di colpo anche di tutto quello che avevo letto e senti-
to nei giorni precedenti, indossai gli occhiali da vista per sem-
brare ancora più matura e consegnai tremante la carta d'i-
dentità nuova di stampa. Entrai nella cabina sorridendo den-
tro di me, respirai piano, e diedi al mio segno la possibilità di
parlare. Quando penso che questo anniversario è il passaggio
dal silenzio alla voce, quando penso che fino a 60 anni fa alle
nonnine che vedo al mercato non gli veniva chiesto che cosa
pensavano, che cosa volevano decidere, mi viene da pensare
a mia nonna Florinda, vestita coi panni della seppellita in
casa, che va per la prima volta alle urne a Maddaloni di
Caserta, con la borsetta nuova, accompagnata da mio nonno
che la sgrida davanti a tutti perché non si ricorda quello che
gli aveva detto di votare. Chissà se lei quella giornata l'ha
vissuta come una lotta, come una conquista, come un grido
da far sentire più forte degli altri.
Forse quel giorno avrà voluto solo essere invisibile, più
invisibile di quello che era stata fino a quel momento, e fug-
gire nel suo angolo della cucina a friggere.
Mi viene da pensare a mia madre vent'anni dopo a Parma.
Andavamo a votare tutti assieme sulla Fiat 128 blu. Lei era
vestita bene e sorrideva a mio padre, dicendogli che avrebbe
votato l'opposto, sempre l'opposto di quello che avrebbe fatto
lui. Chissà come vedeva quel voto, quella voce data anche a
lei. Quando oggi vado a votare, firmo petizioni, autografo
adesioni, lo faccio con la consapevolezza e la determinazio-
ne del mio essere cittadina, di donna, che gode di diritti e di
libertà inviolabili. Il voto per me è un fatto logico, naturale,
assimilato. Il non poterne godere, per di più in quanto donna,
è un pensiero talmente lontano che non mi scuote minima-
mente. Quando penso alle donne ammutolite dal burqua mi
vengono i brividi, e quando penso al silenzio di mia nonna mi
sembra di riferirmi al passato remoto, alla preistoria, ai libri
di scuola. E invece era solo 60 anni fa. Prima io non avevo
pensiero, non avevo voce, non avevo scelte. Ero solo corpo.
Ero solo bella brutta giovane vecchia madre nonna moglie
viva morta. Rabbrividisco ancora, meno male, meno male
che sono nata adesso, penso. Poi accendo la TV sul mio pro-
gramma preferito e spengo l'audio per non ascoltare tutta la
pubblicità che lo condisce, e le immagini mi colpiscono come
un pugno in bocca.
Ci sono donne semivestite che accarezzano languide un
cuscino per fare la pubblicità ai materassi, un uomo in giac-
ca e cravatta presenta il nuovo modello di un automobile ad
una conferenza di soli uomini, e sullo sfondo corrono le dia-
positive giganti di fondoschiena femminili inguainati in pan-
taloncini stretch e perizomi che si muovono al ritmo di musi-
ca. Abbasso un poco lo sguardo a contemplare il divano blu
etnico e mi chiedo piano dove sia finita adesso la mia voce,
dove sia andata la nostra croce, su quella scheda elettorale.
La fine legislatura, contraddistinta da un cre-scendo vorticoso di decreti "contenitore"
approvati a colpi di maggioranza blindata è
stata uno spettacolo pietoso poche volte non
dico raggiunto, ma anche soltanto lontana-
mente immaginato. Una volta, quando si producevano fatti
simili si faceva riferimento al sudamerica come paragone nega-
tivo. Oggi non mi sentirei di dire altrettanto, anche perché il
sudamerica negli ultimi tempi ha occupato i media con l'"even-
to" dell'elezione di Micelle Bachelet a presidente del Cile. Magari
diventassimo anche noi un po' sudamericani in questo modo! In
tutto il chiasso che ha contraddistinto il nostro Parlamento nei
suoi ultimi giorni di vita uno degli spettacoli più indecorosi è
stato quello della discussione reiterata sulla questione "quote
rosa" imposta dalla ministra Prestigiacomo. Non entro nel meri-
to se sia questione di ingenuità o di smisurata fiducia nella
coalizione di cui fa parte. Si è esposta, comunque, ed ha esposto
le donne ad uno spettacolo avvilente. Ma in tutto questo chias-
so alcuni silenzi sono altrettanto avvilenti!
Poche o nulle le notizie sulla "famosa" commissione d'inchie-
sta caparbiamente voluta dal ministro Storace sulla legge 194.
Certo le parlamentari del centro sinistra, come avevano avuto
modo di dire all'inizio di questa vicenda, hanno presentato i
risultati - già conosciuti, visto che ogni anno viene presentata
per legge una relazione in Parlamento - ma con poca curiosità
da parte dei media, evidentemente non attratti dai dati noti, e
anche confortanti . In Italia non sono le donne che abortiscono
un problema, ma le strutture carenti, la mancanza di informa-
zione e prevenzione. Ma Storace non ha aperto più bocca quan-
do si trattava di commentare i dati della commissione d'inchie-
sta. Nel frattempo abbiamo rivisto sui muri di molte città i
manifesti - volgari ed offensivi - che ci hanno fatto ricordare i
peggiori momenti della campagna referendaria contro la legge
194 del "Movimento per la Vita".
Un secondo silenzio ancora più assoluto ha avvolto la pre-
sentazione della proposta di legge Presso la Camera dei
Deputati da parte di Laura Cima, prima firmataria ma subito
seguita da firme di uomini e donne di tutte le forze politiche, su
"Disposizioni per l'istituzione dei Bilanci di genere per la pubbli-
ca amministrazione". Come ha riferito anche Laura Cima, nella
presentazione della proposta si tratta ovviamente, visti i tempi,
di una base per avviare una discussione nel Paese e tra le donne.
Un punto di partenza per avviare, dopo alcune sperimentazioni
interessanti anche nel nostro paese, una discussione più appro-
fondita, ma anche più allargata, per far sì che parole come gen-
der mainstreaming, non siano solo parole per addetti, anzi per
addette ai lavori.
Alida Castelli
Dare voce alle scelte
Per esserci
"La consapevolezza e la determinazione del mio essere cittadina"
Giovanna De Simone
N O T E A I M A R G I N IFine legislatura: tanti silenzi nel chiasso
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