Numero 2 del 2014
Piccoli stereotipi screscono
Testi pagina 48
42 Febbraio 2014
N
on era compito facile quello che Margarethe
Von Trotta si accingeva ad intraprendere de-
cidendo di girare un film sulla pensatrice e
scrittrice tedesca Hannah Arendt. Ma proprio
per questa vocazione comune ad entram-
be, la regista e la filosofa, di produrre opere originali e
di pensare il mondo, la storia e l’arte da un’angolazione
profondamente personale e, talvolta, inattuale, la pelli-
cola, intitolata semplicemente Hannah Arendt, risulta
così autentica, vibrante e sorprendente. La scelta narra-
tiva è quella di descrivere un periodo ‘tardo’ della vita
della Arendt, quando, già integrata da anni negli Stati
Uniti - dove emigrò nel 1941 con il marito e la madre,
fuggendo alle persecuzioni della Gestapo in Germania
e dal campo di prigionia di Gurs in Francia - vive a New
York e conduce un sereno quotidiano, circondata da una
cerchia di amici intellettuali, lavorando come insegnante
alla New School for So-
cial Research, insieme al
marito Heinrich Blucher,
ex componente della
Lega Spartacus di Rosa
Luxembourg e poi mem-
bro del Partito Comunista
Tedesco. È il 1960, l’anno
del processo al nazista
Adolf Eichmann, ed Hannah si propone alla testata New
Yorker come inviata speciale per seguire l’evento: vuo-
le vedere in faccia uno dei ‘mostri’, capire perché ma,
giunta in Israele, si accorgerà che Eichmann altri non è
che ‘un uomo mediocre’, un burocrate, che ha abdica-
to la sua capacità di pensare - secondo Hannah la più
alta delle qualità umane - e solo a causa di ciò ha potuto
commettere ogni tipo di efferatezza, trincerandosi dietro
il leit motiv tipico dei nazisti, che ‘eseguivano ordini su-
premi’. Nei suoi cinque articoli sul New Yorker, la Arendt
descrive dunque la ‘banalità del male’ ed invita a stare in
La banaLità deL maLe e L’uso
deL pensiero critico neLL’uLtimo
fiLm deLLa regista tedesca
dedicato aLLa grande
fiLosofa ebrea
di Elisabetta Colla
A tutto schermo
HannaH arendt
secondo Von trotta