Numero 3 del 2006
Libera di scegliere. Speciale 60 anni voto alle donne
Testi pagina 47
noidonne marzo 2006
noidonne pag 47
Come anticipato nel numero didicembre 2005, Noidonne apre le
sue pagine al dibattito sulla poesia
scritta da donne, coinvolgendo poeti,
direttrici e direttori di riviste, critici, let-
trici e lettori. Sono state poste alcune
domande al critico e poeta Roberto
Bertoldo sviluppando la riflessione da
una parte sul valore concettuale di una
definizione di poesia femminile e dall'al-
tra, più pragmaticamente, sul ruolo che
le voci femminili hanno avuto nel pano-
rama poetico italiano ed europeo nel
secolo appena trascorso.
Roberto Bertoldo ha scritto vari libri
di poesia, narrativa e saggistica; tra le
sue pubblicazioni i romanzi Il Lucifero
di Wittenberg e Anschluss (Asefi
Terziaria, Milano 1998), Anche gli ebrei
sono cattivi (Marsilio, Venezia 2002); i
saggi Nullismo e letteratura (Interlinea,
Novara 1998), Principi di fenomeno-
gnomica con applicazione alla lettera-
tura (Guerini & Associati, Milano
2003); il libro di poesie Il calvario delle
gru (La Vita Felice, Milano 2000). Dirige
la rivista Hebenon.
Secondo lei esiste la categoria lette-
raria di poesia femminile? E se si,
quali sono le caratteristiche che la
contraddistinguono? C'è una pecu-
liarità di temi affrontati?
No, secondo me non può esserci la
poesia femminile, anche perché è impos-
sibile riconoscere quanto di maschile e
femminile ci sia nel cervello e nell'emo-
zione di un essere umano. C'è invece
una poesia delle donne, che si distingue
dunque da quella degli uomini non per
motivi naturali ma culturali, storici,
ossia per la condizione di assoggetta-
mento che le donne (e la femminilità, sia
nelle donne sia negli uomini) hanno
dovuto subire per secoli. Per esempio lo
spirito di rivalsa sessuale può intaccare
il testo poetico, trasformandolo in
lamento sotteso, in una espressione ego-
tistica e priva di universalità, può in
altre parole corrodere l'aspetto induttivo
dell'emozione a vantaggio di una poesia
che, volendosi imporre, invece di rap-
presentare l'assurdo e l'ingiustizia cede a
scorciatoie barocche; che sono sí meglio
del manierismo avanguardistico di certi
poeti arrampanti privi di etica e umani-
tà, ma restano sfogo e belletto.
Qual è oggi lo stato di salute della
poesia scritta da donne? Riscontra
una discriminazione rispetto ai col-
leghi uomini?
Discriminazioni sessuali in editoria
non ne vedo, vedo bassezze, arrivismi,
disvalori, non discriminazioni. Circa la
considerazione critica, è facile notare
che essa è appannaggio dei poeti che
hanno potere editoriale e dei loro porta-
borse: è stato così per Raboni, lo è per
Cucchi, Riccardi, ecc. Quindi il fatto che
le donne siano un po' trascurate - ma è
poi vero? Non vi sembra che si siano
suonate un po' troppe trombe per poe-
tesse come Lamarque o Valduga? - è
dovuto solo al minore potere che hanno.
La poesia delle donne, ora che ha
smarrito i suoi archetipi un po' fastidio-
si, ossia la poesia della donna frustrata,
dimessa, depressa, deve liberarsi tanto
dai contenutismi quanto dai formali-
smi, tanto dall'insofferenza successiva
all'emancipazione quanto dai modelli
manieristici. Forse ci vorrebbe una poe-
tessa a metà tra Sylvia Plath e Anne
Sexton che sappia superare la presunta
vergogna di essere poeticamente libera e
di non essere riconoscibile.
Se dovesse proporre un canone al
femminile del Novecento che nomi
farebbe?
Nel Novecento ci sono state alcune
donne, tra quelle oggi note, che mi sem-
brano meritevoli di assurgere a modello
umano-letterario: la più rappresentati-
va è Anna Achmatova, esempio princi-
pe di dipendenza dall'uomo, come
Gabriela Mistral, e dalla sua predisposi-
zione allocentrica. La donna ha svilup-
pato una maggiore empatia cognitiva a
causa della sua storia di schiava spiri-
tuale, ma lo spirito di rivalsa le ha sof-
focato l'empatia affettiva. E senza
empatia affettiva la poesia resta chiusa
nel suo bozzolo autobiografico. Anna
Achmatova riesce a volte, e in questo è
un esempio di riqualificazione mentale,
a sfoderare la sua empatia affettiva,
però è ancora a immagine e somiglianza
dell'uomo, fatto che non ritengo negati-
vo di per sé, ma solo perché prima è
necessaria l'emancipazione. Marina
Cvetaeva questa emancipazione l'ha
portata avanti, anche se è a Sylvia Plath
e ad Anne Sexton che dobbiamo la com-
pleta liberazione rispettivamente dai cli-
ché letterari e dall'uomo, senza dimenti-
care, più tardi, Hilda Hilst che, attraver-
sato lo scandalo, ha lasciato uno dei
segni forse ineludibili nella svolta della
poesia, al punto che giovani poetesse la
seguono, magari senza saperlo o dirlo
(in Italia Elena Varvello, Tiziana Cera
Rosco, Ljuba Merlina Bortolani).
Oggi, in ogni caso, spesso le donne
sono ancora succubi della storia
maschile, succubi dell'uomo, anche nel
loro disprezzo per lui. Non hanno
sguardo interno, nel luogo dove la
disperazione rappresenta il dramma del
mondo esterno. Penso ad Antonia Pozzi
che la disperazione l'aveva dentro,
anche se purtroppo in forme preesisten-
ti. Il compito delle donne, che da noi
oggi non hanno più necessità di distin-
guersi dall'uomo, è quello di ritrovarsi
come persone, senza cadere nell'imita-
zione né nel rifiuto forzato che è un'altra
forma, barocca, di imitazione. Devono
essere se stesse e trovare la scrittura che
rappresenti la loro percezione emotiva e
intellettuale del mondo.
Per chiarire, faccio riferimento in
Italia ad Alda Merini, poetessa che però
oggi la critica tende a riposizionare in
basso. Il suo dramma mantiene la sin-
golarità nell'universalità, le sue ferite
sono, forse involontariamente, tanto
reali quanto ideali. Ma se queste ferite
divengono belletto, per esempio in Tema
dell'addio di Milo De Angelis e in molti
testi della stessa Merini, allora la gran-
dezza poetica, che riconosco in molta
produzione ad entrambi, scade in biso-
gni volgari. Ci vuole etica letteraria per
scrivere e le donne devono dimostrare
prima di tutto di possederla. Senza di
questa non ci può essere vera poesia, la
quale non ha sesso o meglio è un intrec-
cio di maschilità e femminilità.
Alda Merini (Milano 1931)
Adesso sono una pioggia spenta
dopo che l'orma del tuo cammino
si è fermata ai miei occhi.
Che ciglio devastante il tuo!
Come mi penetri le ossa!
Se piangessi, tu verresti a riprendermi.
Ma io ho bisogno del mio dolore
per poterti capire
La musa liberata
Intervista a Roberto Bertoldo
Luca Benassi
la poetessa si apre al nuovo secolo con voce libera e consapevole