Numero 9 del 2014
			Medicina di genere
			
							
		
			
		
			
			
							
								
					
Testi pagina 17
					15Settembre 2014
di Medicina di Genere lo scorso anno, la mia Universi-
tà, quella di Ferrara, è orientata ad un’offerta formativa 
gender oriented trasversale alle discipline. La Regione 
Emilia-Romagna e la Toscana hanno deliberato una 
legge e un Piano che prevedono la Medicina di Gene-
re come orientamento per tutti gli operatori; la Puglia 
e il Piemonte hanno organizzato Commissioni regio-
nali o indicazioni di area di ricerca specifi che (Marche 
e Veneto)”. Un tema di attualità è come riorientare e 
sensibilizzare gli operatori alle nuove evidenze che la 
Medicina di Genere offre. Un tema importante, perché 
parliamo di salute e di cure appropriate, di cure che 
guariscano e non provo-
chino ulteriori danni. Ma 
la strada da fare è lunga, 
visto che partiamo dalla 
ricerca tarata su campio-
ni di maschio adulto. “La 
percentuale di femmine 
coinvolte nelle ricerche 
non supera il 30%, per-
sino le cavie sono tutti 
maschi perché, spiega-
no, nelle femmine si sono 
turbolenze ormonali che 
spostano i risultati. È 
vero, ma anche le don-
ne che poi assumeranno 
quei farmaci hanno tur-
bolenze o fasi della vita 
che le porteranno a re-
agire in modo diverso… 
come si fa a non porsi la 
domanda? Questo perché non ci si chiede che peso 
ha il genere nelle sperimentazioni e nella malattia, dove 
si riscontrano diversità tra uomini e donne anche nel 
decorso delle malattie e nelle guarigioni. Le differenze 
ci sono in tutte le fasi. Pensiamo poi alla diagnostica”. 
Un infarto è un infarto, possiamo sperare… o no?!? “È 
un evento che può manifestarsi in modo diverso in un 
uomo o in una donna, che magari ha avuto un infarto 
silente e non se ne è accorta perché invece dei sintomi 
‘classici’ come il dolore al plesso solare e al braccio 
sinistro ha avuto un forte mal di schiena nella parte 
destra, oppure un forte dolore mandibolare: sintomi 
che per varie conformazioni fi siche si verifi cano nelle 
donne. Ma se non lo sappiamo, se non sappiamo rico-
noscere questi sintomi non possiamo essere curate e 
comprendiamo quali possono essere gli effetti di dia-
gnosi tardive. Noi esperti delle scienze umane e sociali, 
possiamo dare un nostro contributo a questo momento 
di auto- rifl essione della medicina e possiamo rinfor-
zare il ruolo importante dell’informazione scientifi ca di-
vulgata e dell’educazione. Poi le donne possono fare 
molto: essere curiose e sensibili, sapersi osservare e 
acquisire la capacità di descrivere i sintomi, cosa che 
può aiutare i medici a fare diagnosi corrette. Anche per-
ché dobbiamo ancora sfatare molti pregiudizi. Spesso 
i sintomi dichiarati da una donna vengono sottovalutati, 
scambiati per una crisi di ansia” . Occorre ripensare ai 
contenuti della “formazione continua in medicina, un la-
voro di sensibilizzazione e di formazione specifi ca sulle 
differenze che richiederà un lavoro di anni, perché la 
formazione degli operatori sanitari attivi è stata acqui-
sita con modelli anatomici maschili, e non sono stati 
formati alla la diagnosi differenziale maschio-femmina”. 
Un lavoro di lungo corso, quindi, che - domando - pos-
siamo sperare sarà agevolato dalla presenza di circa il 
50% di mediche e quindi di donne potenzialmente più 
attente al genere e alle differenze. “La vita e la carriera 
mi hanno insegnato che non basta essere donne per 
essere gender oriented, occorre invece capire che è 
lo studio, l’analisi e la consultazione delle giuste fonti 
a costruire una autentica sensibilità permanente. Del 
resto se le donne capissero l’importanza dell’approccio 
di genere dovrebbero spingere sugli investimenti per la 
ricerca. Se solo pensiamo ai danni da farmaco … per 
anni e continuamente prendiamo medicine e non si sa 
che effetto abbiano sul nostro corpo, non si riconside-
rano neppure le quantità e i dosaggi…. 
Nel lungo periodo possono provocare patologie che nes-
suno conosce”. Prima di concludere la nostra conversa-
zione chiediamo a Signani qual è la situazione all’estero 
sulla Medicina di Genere, anche in forza di progetti euro-
pei cui ha partecipato e in considerazione delle scarse 
risorse che l’Italia destina alla ricerca. “Il cammino della 
Medicina di Genere è iniziato da circa 25 anni, da quando 
nel 1991 Bernardine Healy , allora Direttora del National 
Health Institute americano, aveva evidenziato un tratta-
mento diverso e penalizzante le donne nella cura delle 
patologie cardiologiche. Da allora e con un’attivazione più 
vivace negli ultimi dieci anni, riscontriamo un pullulare di 
iniziative e studi negli USA, in Germania, Svezia, Olanda e 
Austria, dove è stata istituita la prima cattedra europea. Ci 
si sta lavorando con una certa costanza, ma duole dirlo, 
sono soprattutto le scienziate che si concentrano su que-
ste ricerche”. Destino comune ad altri settori: delle donne 
si occupano le donne. E avanti così!