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Numero 5 del 1952

Noi Donne VII n.5 / Nilde Jotti accusa l'americanismo

In copertina Ludmilla Tcherina, attrice francese interprete di numerosi film di successo.
La posta di Renata Viganò .
Fra le notizie della settimana di rilievo l’articolo di Maria Antonietta Maciocchi sull’orrore del bimbo ucciso in modo orribile dagli inglesi in Egitto ed ancora la prima significativa sconfitta del VII governo De Gasperi
.Il servizio di Riccardo Longone sul processo a Lionello Egidi,risultato poi innocente, che nel racconto evidenzia l’enorme miseria materiale, che può divenire morale, che dilaga nelle borgate e periferie povere come Primavalle, nello specifico della storia .
La novella “ La ragazza perduta” di Agnese Cerasoli, la 28° puntata del “Ritorno sul fiume” di Lucia Ashley, e la seconda puntata del romanzo di Luciana Perelli “Quinta strada”.
Articolo di Nilde Jotti dal titolo “Difendiamoli dall’americanismo” che motiva, partendo dai fumetti “emigrati” dall’America e divenuti le letture dei ragazzi italiani, per sottolineare la negatività dei valori e degli indirizzi culturali che rischiano di accreditare.
La moda che si sofferma sull’abbigliamento dell’ultima parte dell’inverno.
Un articolo di Paola Masino sull’incontro presso la redazione di Noidonne della Dott Zinaida Lebedeva,  giunta in Italia con la nave Timiriazev, che ha portato aiuti per il Polesine alluvionato con donne fra le più importanti della politica, del giornalismo e della cultura (vedi fotografia con sottotitolo pag13). Alla Lebedeva è stato, nell’occasione, donato un quadro dal pittore Villoresi che riproduce la stessa delegazione sovietica in visita in Polesine, di cui è stata parte.
Le rubriche di Noidonne d’informazione, su letture, salute, iniziative di solidarietà, valorizzazione delle diffonditrici e sostenitori del giornale .
La quarta puntata in fotogrammi del film ”..E mi lasciò senza indirizzo” di Jean Paul Chanois.
Ancora la promozione del film “Vendetta …sarda” del regista Mario Mattoli con Anna Maestri e Walter Chiari protagonisti. 


Foto: Noi Donne VII n.5 / Nilde Jotti accusa l'americanismo
PAGINA 5
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Testi pagina 5

cio da oltre undici mesi. Nella stessa stanza c’erano altre sei malate come lei. Una di esse stava in quella posizione da quattro anni.
Maria Parisse prima di ammalarsi faceva la cameriera: aveva conosciuto Egidi poco prima del delitto di Primavalle. Poi una sera l’uomo, arrestato, era scomparso e non si erano più visti da allora.
Due sconfitti della società
Quella mattina a Nettuno c’era un sole meraviglioso, sembrava una giornata di primavera: nella piccola stanza dell’ospedale, entrarono i giudici, gli avvocati, il presidente. Poi l’uomo e la donna si ritrovarono l’uno di fronte all’altra. Lei nel suo letto di pene, egli con i ferri al polso. Due sconfitti della società, disse qualcuno.
Due sconfitti che però si difendevano accanitamente. E per difendersi non potevano non tentare di far del male all’altro. Egidi aveva detto di aver avuto rapporti intimi con la donna, ma lei negava. Certamente mentiva; ma doveva difendersi. «io sono innocente — disse — guardando spaventata il presidente. — Io non voglio che si parli di me sui giornali. Non voglio che si sappia al mio paese che a Roma facevo la serva. Al mio paese ho avuto un figlio, sta al brefotrofio. Io non sono stata amante di Egidi. Eravamo solo amici».
Il cancelliere scriveva nei suoi fascicoli tutto quello che la donna diceva. Egidi guardava nel vuoto con il suo sguardo febbricitante. Mentre tutti stavano per uscire la donna si rivolse a lui sperando ch’egli solo la potesse ascoltare: — Se eri sposato perchè mi sei venuto dietro?
L’uomo abbassò la testa: — Lo so, ho sbagliato — fece senza rivoltarsi a guardare Maria Parisse che non aveva voluto confermare un alibi che allora poteva apparire prezioso per lui.
Quando venne a deporre Lidia la sorella di Egidi, scoppiò un clamoroso incidente: avvocati e giornalisti per protesta contro il presidente abbandonarono l’aula. Mentre stava parlando Lidia era scoppiato in lacrime e il magistrato aveva minacciato: — Smettetela con queste lacrimucce!
Annarella aveva fame
Eppure quel che Lidia Egidi stava dicendo era quanto di più umano di più giusto sia stato detto nel corso di questo processo da una testimone. — Signor presidente — aveva detto Lidia — mio fratello da giovane era il più buono di tutti noi. La mattina ci levavamo alle quattro e assieme andavamo a lavorare nei campi. Questa era la nostra vita. Ora si dicono tante cose di mio fratello. Sono sicura che non è un assassino; ma può darsi che egli abbia commesso molti errori. Che vuole signor presidente! Mio fratello ha trascorso otto anni in guerra e in prigionia. E la guerra ha rovinato tante persone!
Un giorno entrò nell’aula della Corte d’Assise una ragazzina con lunghe trecce: si guardò attorno spa-ventata, la fecero sedere sulla sedia dei testimoni e incominciarono a interrogarla con le stesse parole e lo stesso tono di voce con cui erano stati interrogati tutti gli altri testimoni. Disse di chiamarsi Anna Cecchini, di avere tredici anni, di essere stata amica di Annarella. Il presidente, i giudici, gli avvocati volevano sapere tante cose da Anna Cecchini. Volevano forse anche farle dire cose che essa non sapeva. Disse che presso la castagnara c’era Lionello e c’era Annarella, disse che potevano essere le otto di sera. Che faceva freddo, che Annarella aveva tanta fame. Spesso Annarella aveva fame.
Alla fine la mandarono via e lei prese il tram di Primavalle. Quel giorno nell’aula della Corte d’Assise di Roma risuonò per bocca dell’amica di Annarella l’accusa della ragazza assassinata contro una società che non aveva saputo difendere nè la sua infanzia nè la sua vita.

Didascalie
Ogni giorno, durante tutto il processo, la moglie di Egidi arrivava alle sette di mattina, prima ancora dei carabinieri di servizio e si appoggiava ad una colonna, ad uno scalino del Palazzo di Giustizia, col suo bambino fra le braccia. Spesso si avvicinava a uno degli avvocati del marito, porgendo un pacco contenente un uovo o un frutto: era tutto quello che ella poteva mandare a Lionello, che — lei andava dicendo a tutti — «ora tanto malato».

La folla ha atteso che la Corte emettesse la sua sentenza, con la certezza che il piccolo uomo di Primavalle sarebbe stato assolto. L'opinione pubblica chiede ora che si faccia il processo alla polizia, ai mezzi di tortura che la polizia impiega per ottenere una «confessione». Nella foto: la folla circonda gli avv.ti Marinaro e Salminci.
Il bimbo di Egidi, nato dopo l'arresto dell'uomo, dovrà abituarsi, ora, alla sua presenza nella casa. Fiorirà presto il sorriso sulle sue labbra, se gli uomini che hanno aiutato Egidi a provare la sua innocenza lo aiuteranno ora a lavorare, a ricostruire in pace la sua vita.

Teresa Lemma, la moglie di Lionello Egidi, non sapeva scrivere. Ha imparato in questi lunghi mesi di tormento e di ansia, per poter mandare ogni giorno una lettera al marito. E durante le lunghe soste nei corridoi del «Palazzaccio», a suo figlio insegnava a fare i primi passi. «Speriamo che trovi subito lavoro», ha detto il giorno in cui riabbracciò suo marito. Attorno a lei s’era stretta la muta, solidale stima di tutta Roma.


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