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Numero 12 del 2006

Letterina di Natale dai 4 milioni delle primarie


Foto: Letterina di Natale dai 4 milioni delle primarie
PAGINA 36

Testi pagina 36

dicembre 2006 noidonne36
Non si poteva non parlare di HannaArendt prima della fine del 2006,
centenario della sua nascita. La sua
"eredità fuori squadra", di cui ha parla-
to Il Manifesto il 14 ottobre scorso (de-
dicandole un opuscolo nel giorno della
nascita), è uno dei motivi che rendono
difficile inquadrarla: dovunque la si
collochi si rischia di sbagliare. E se non
la si colloca, si sbaglia comunque: per-
ché se è giusto affermare che Hanna
Arendt si sia spesso schierata pronun-
ciandosi in termini chiari su eventi e
persone, è anche vero che il suo pensie-
ro non è mai stato semplificatore, né
manicheo né scontato, e scaturiva sem-
pre da una pratica rigorosissima di stu-
dio e di riflessione. Nel rievocare la fi-
gura di una "pensatrice politica" (come
amava definirsi) così complessa e im-
portante - ed anche così nota - si rischia
di scadere nella banalità, o in cose già
dette: di non afferrare lo spessore di un
percorso intellettuale che ha attraversa-
to la Storia del Novecento con occhi
sempre attenti, critici e perspicaci, tan-
to da apparire oggi attuale più di quan-
to non sia stata al tempo in cui è vissu-
ta, ed in cui non sempre è stata compre-
sa. Per aiutarmi non tanto a valicare
quanto a scansare i molti rischi che cor-
ro nell'osare dire anch'io qualcosa su
Hanna Arendt (che, da neofita, ho letto
meno di metà della sua opera e ho par-
tecipato per un anno ad un gruppo di
lettura di "La vita della mente", organiz-
zato dal Circolo Bateson) mi aiuto ci-
tando la conclusione fatta da Simona
Forti, profonda conoscitrice arendtiana,
nel su citato inserto del 14 ottobre: "per
Arendt decostruire la tradizione filosofi-
ca e politica non equivale tanto ad in-
dagare criticamente una concatenazio-
ne storica di idee e dottrine, legate, le
une alle altre, dal comune oblio del si-
gnificato autentico dell'essere. Significa
anche e soprattutto assumere queste co-
me segni estremi, ma quotidiani e nor-
mali ad un tempo, di quel rapporto che
in occidente si è venuto a istaurare tra
individuo e mondo, tra costruzione del
Sé e percezione dell'altro da sé … è da
qui che si deve procedere per pensare in-
sieme a Arendt ma andando oltre
Arendt, per cogliere le sfide che oggi il
mondo, in parte diverso dal suo, ci sta
ponendo … e celebrare la sua grandez-
za di pensatrice, che mai ci chiederebbe
di continuare ad essere esegeti della sua
lettera, né di cercare di tradurre in pra-
tica quotidiana i suoi pensieri. Anche
perché al cuore della sua riflessione sta
il senso di una realtà che costantemente
supera e scompagina i
progetti che la teoria ha
su di essa."
Ecco! L'idea di "coglie-
re le sfide" di oggi può
aiutare me, e chi mi leg-
ge, a scoprire il senso di
questo breve articolo. Po-
tremmo provare a chie-
dere ad Hanna Arendt
modalità alternative per
districarci nella realtà
attuale, complicata dal-
la presenza di nuovi "to-
talitarismi" forse meno
palesi, ma più capillari
ed intrusivi. Che lezione
può darmi Arendt di 'libertà' e 'fiducia'
rispetto al mio 'agire' e 'pensare' nella
mia quotidianità? Quale fiducia che il
"nuovo inizio introdotto nel mondo" il
"nuovo mondo potenzialmente in vita" e
garantito da ogni "nuova nascita", ov-
vero da ogni essere umano, con cui lei
conclude il suo "Le origini del totalitari-
smo", possa essere un mondo potenzial-
mente migliore?
Arendt non dà risposte nette a questo
tipo di domande, ma la sua opera può
essere letta come uno strumento, quello
da lei usato personalmente, di acquisi-
zione della 'fiducia' e 'libertà' necessarie
a divenire persone umane non più 'su-
perflue' e in grado di pensare liberamen-
te: non più mezzi strumentali al dio-uti-
le che perde sempre più significato e va-
lore. Scrive in "Lavoro, opera azione. Le
forme della vita attiva": "L'imbarazzo
dell'utilitarismo deriva dal trovarsi cat-
turato entro una catena infinita di mez-
zi e fini senza arrivare mai ad alcun
principio che possa giustificare la cate-
goria, cioè la stessa utilità".
Nonostante sia "di fatto molto più
facile agire in condizioni di tirannia che
non pensare", come scrive in Vita Acti-
va, è soprattutto una lezione di libertà
di pensiero quella che Hanna Arendt
può dare a noi contemporanei. Perchè se
si sceglie la via della libertà di pensiero
si sta preferendo di stare dalla parte del-
la vita, della continua rinascita e aper-
tura di fronte ad ogni occasione che la
vita pone; si sta optando per non la-
sciar morire ogni giorno di più le nostre
potenzialità vitali: "la sola metafora
che resta, la sola che sia possibile con-
cepire per la vita della
mente è la sensazione
della vitalità" (da La vita
della mente, p.212).
La persona viva e
pensante, il "chi" arend-
tiano, non si irrigidisce
"in un sistema di valori
potenzialmente totalita-
ri" e risulta in grado di li-
berarsi "di fatti ed atti
passati di cui non aveva
previsto o di cui disap-
prova le conseguenze".
Come non ha fatto il na-
zista Eichman, e quelli
come lui, "un funzionario
La metafora della vitalità
Hanna Arendt
Giovanna Providenti


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