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Numero 7 del 2006

Violenza: in bocca al lupo


Foto: Violenza: in bocca al lupo
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e la guida turistica in inglese che avevo
scordato, apparentemente oggetti di
scarso valore, in realtà appetibilissimi e
costosissimi se portati al mercato loca-
le. Un'altra ancora, molto carina e
curata, si è affiancata inizialmente per
una conversazione leggera e piacevole e
poi mi si è offerta per una prestazione
sessuale: io le ho solo indicato alcune
sue coetanee, altrettanto carine, ma con
mani meno curate e vestiti fradici di
sudore, che in quel momento, in un can-
tiere vicino, trasportavano a spalla sac-
chi pieni di pietre o spingevano pesanti
carriole. A Nairobi, in autobus, parlo
per alcuni minuti con una ragazza
Maasai; ha la testa rasata, indossa
abiti moderni con colori sgargianti e
abbondanza di perline. "Mi sono appe-
na laureata in economia " dice orgoglio-
sa e precisa che la sua specializzazione
riguarda lo sviluppo sostenibile, la sua
strada sarà quella di aiutare la propria
tribù di provenienza. Lo studio e la cul-
tura non le hanno fatto dimenticare le
origini, come testimoniano i lobi delle
orecchie, deformati e lunghissimi, che
trattengono pesanti orecchini.
Durante i lunghi spostamenti su
camion per attraversare le zone deserti-
che, vedo che le donne tra di loro sono
sempre vicine e complici: le anziane
consigliano e sono rispettate, le giovani
scherzano, le mamme diventano premu-
rose per tutti i bambini del gruppo.
Raramente una bottiglia d'acqua o pic-
cole provviste di cibo sono consumate
dalla sola proprietaria. E' bello vedere,
sotto il caldo torrido, una bottiglia d'ac-
qua che passa di mano in mano, sor-
seggiata in modo misurato affinché
tutte, non importa il numero, ne abbia-
no la loro parte. Nei vari mercati che ho
incontrato ho visto parecchie donne,
giovani e anziane, mettere in vendita la
loro merce, alcune sbracciandosi per
vendere manghi o pomodori, altre
aspettando in silenzio e compostamente
il cliente. Ho visto donne di tutte le età
lavorare curve su aridi campi o pasco-
lare magre bestie sotto un sole cocente,
le ho viste camminare barcollanti sotto
secchi pieni di acqua, una tortura che a
volte può durare alcuni chilometri, fino
alla porta della propria casa, dove con-
tinuerà a lavorare. Ho visto tante donne
in città fare i lavori più umili, perché,
oltre alla differenza con l'uomo, rimane
ancora una profonda differenza con la
donna bianca. In Africa, il lavoro fem-
minile non è una questione di scelta , di
soddisfazione o di emancipazione per-
sonale, ma è una semplice questione di
sopravvivenza.
Spesso, sulle loro spalle gravano il
peso e le responsabilità del vivere quoti-
diano.
In un paio di occasioni ho viaggiato
su navi dove l'ordine dei passeggeri era
suddiviso in prima, seconda e terza
classe separate tra di loro da alcuni
cancelli di ferro: potete immaginare la
precarietà del battello e vi posso dire
quanto l'ultimo ordine di posti, il meno
costoso, assomigliasse a un girone infer-
nale dantesco, dove le persone erano
stipate e quasi impossibilitate a muo-
versi, un incastro umano terribile, dove
ancora una volta alle donne era asse-
gnata la sistemazione più scomoda.
Quelle erano ancora le immagini di una
vecchia nave negriera e io ero "l'uomo
bianco di prima classe", che tutti quegli
occhi smarriti guardavano con sorpresa
e imbarazzo. E' stato un grande bagno
di umanità che non ho volutamente
fotografato, per l'enorme rispetto e la
mancanza di giustificazione: quelle
immagini le porto nel cuore.
Forse non tutti sanno che il 75% delle
donne africane vive in zone malariche e
sono frequentemente soggette a crisi di
paludismo, con conseguente distruzione
dei globuli rossi.
Durante il mio peregrinare ho notato
diversi cartelloni pubblicitari posti per
sensibilizzare la popolazione a una giu-
sta educazione sessuale al riparo del
virus HIV, ma forse dobbiamo ricordar-
ci che le donne in Africa, da sempre,
sono le vittime più esposte a questo
virus e per quanto la conoscenza dei
rischi adesso sia più diffusa, esse sub-
iscono , una volta di più, la loro scar-
sissima facoltà decisionale all'interno
dei rapporti famigliari e di coppia.
Vi ho raccontato una parte della mia
Africa (forse sarebbe giusto dire la
"Vostra"), non ho volutamente fatto
nomi di popoli, di paesi, città e nazioni,
perché le mie riflessioni sono un sentiero
trasversale che li unisce; io ho cercato di
percorrerlo osservando la gente e
cogliendo ciò che notavano i miei occhi
e il mio cuore: ho riscoperto valori che
sembravano dimenticati. Grazie anche
alle donne, dalla povertà e dalla sem-
plicità ho rivisto nascere la generosità,
l'ospitalità, l'orgoglio dell'appartenenza
e il piacere della comunità.
noidonne luglio - agosto 2006 31
a conclusione del suo giro del mondo il nostro amico dedica
i suoi pensieri ad un continente visto al femminile


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