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Numero 4 del 2006

E ora scendiamo in campo noi


Foto: E ora scendiamo in campo noi
PAGINA 30

Testi pagina 30

aprile 2006 noidonne30
Le chiamano le shaidkhi, versionerussa del termine arabo shahid: il
martire pronto a morire per la fede.
Sono le donne cecene kamikaze compar-
se sulla scena del conflitto russo-ceceno,
nel corso della seconda guerra caratte-
rizzata dalla radicalizzazione del-
l'Islam nella repubblica caucasica.
Negli ultimi anni, le shaidkhi sono
diventate una costante degli attentati
attribuiti ai ribelli ceceni separatisti. Il
gazawat (la jihad islamica), la guerra
santa contro gli "infedeli", come suppor-
to ideologico alla resistenza, è una delle
motivazioni di adesione delle kamikaze
cecene agli attentati terroristici, soprat-
tutto dopo che il peso ideologico della
fede musulmana è cresciuto, così come è
cresciuta l'influenza dei capi wahhabiti
e dei loro battaglioni islamici. Ma, in
realtà, il gazawat (letteralmente
"incursione"), per i ceceni è, soprattutto,
un concetto, un richiamo di ottocente-
sca memoria alla tradizione di resisten-
za dei popoli caucasici alle prese con
l'invasore russo.
La ricostruzione delle storie di alcune
kamikaze cecene conferma, tuttavia, un
quadro piuttosto eterogeneo e contrad-
dittorio, dove la retorica religiosa è solo
uno degli elementi in causa, e il meno
influente. La giornalista russa Julija
Juzik, che nel suo libro "Le mille fidan-
zate di Hallah" racconta le storie perso-
nali di tragedia e morte delle martiri
cecene, sostiene che il fanatismo religio-
so c'entra poco: "Sono giunta alla con-
clusione che l'unica ragione che può
spingerle a cercare la morte è una trage-
dia personale o una vita infelice". Più
del gazawat, nei destini di queste gio-
vani donne conta una struttura sociale
tradizionale, che le sottomette e le porta
a scelte spesso compiute neppure di pro-
pria volontà. Sostiene, ancora, Julija
Juzik: "Solo poche ragazze sono credenti
e praticanti; tutte le altre hanno o un
motivo personale, o semplicemente non
hanno scelta".
Un passato di lutti in famiglia o di
violenze subite costituisce un terreno
molto fertile. Tutte, o quasi, hanno
perso in guerra, un fratello, il marito, il
padre. Da qui il soprannome comune di
"vedove nere", la cui lista è stata inau-
gurata da Haja Besaeva, prima donna
kamikaze cecena, di soli diciassette
anni, passata alla storia come il "mito"
delle vedove nere, dopo che un video la
ritraeva mentre si lanciava verso un
posto di blocco di soldati russi. Anche
Aïza Gazoueva era una donna molto
giovane, che si è fatta esplodere insieme
con il generale Gheidar Gajiev (com-
missario militare di Urus-Martan),
dopo aver ritrovato i corpi del marito e
del suocero che il generale aveva arre-
stato. Di lei non era rimasta che la
testa. "Era una fanatica, una wahhabi-
ta?", s'interroga un'altra giornalista
russa, Anna Politkovskaja. "È una spie-
gazione un po' leggera. Urus-Martan è
un posto molto particolare in Cecenia.
Stupri, torture, sequestri di massa, ese-
cuzioni sommarie e un arbitrio insolen-
te che regna ovunque sono da vari anni
il pane quotidiano di questa città. Qui
la gente odia i militari russi e i rappre-
sentanti del potere federale. E il genera-
le Gajiev è stato oggetto di un odio fero-
L’altra metà del gazawat
Guerre dimenticate
Cristina Carpinelli


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