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Numero 12 del 2007

Un anno di notizie a colori


Foto: Un anno di notizie a colori
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Testi pagina 2

Incontro Edith Bruck nella sua casa,nel cuore di Roma. E' bella Edith. Era
una bellissima bambina bionda quan-
do, a dodici anni, venne deportata dal-
l'Ungheria ad Auschwitz con la sua fa-
miglia di origine ebraica.
E' riuscita a sfuggire più di una volta
alle selezioni del dottor Mengele. E' so-
pravvissuta alle atrocità di Auschwitz,
Dachau, Bergen-Belsen. E' sopravvissu-
ta e racconta la Shoah. Tutta la sua pro-
duzione letteraria è in lingua italiana,
la lingua del Paese che l'ha accolta. Vi-
ve nella capitale dal 1954. Il suo primo
libro è stato pubblicato nel 1959. I suoi
libri sono tradotti in diverse lingue. Da
pochi giorni ha consegnato agli editori
il suo ultimo romanzo.
"Quanta Stella c'è nel cielo", perché
la scelta di questo titolo?
E' un verso di una ballata di Sandor
Petofi, un grande poeta del risorgimento
ungherese, una specie di Garibaldi che
ho studiato a scuola da bambina e ho
amato moltissimo. Te la traduco, suona
così: 'Quanta goccia c'è nell'oceano /
quanta stella nel cielo / sulla testa del-
l'umanità quanto capello c'è / quanta
cattiveria nel cuore?' Il titolo mi piace
molto, sembra un errore in italiano in-
vece non lo è, spero che gli editori lo ac-
cetteranno.
Il romanzo si svolge dopo la libera-
zione dell'Europa dal nazifascismo?
Si è parlato molto delle atrocità dei
campi di concentramento, ma troppo
poco, me compresa, del dopoguerra che
è stato tragico per i sopravvissuti. L'Eu-
ropa era distrutta affamata e in miseria,
e il sopravvissuto non sapeva dove an-
dare, dove mangiare, a chi rivolgersi.
Tra l'orfanotrofio e i parenti che ci tene-
vano per qualche settimana, eravamo
soltanto una bocca da sfamare in più.
La nostra vita non valeva niente. Erava-
mo come persi nel mondo. Io sono an-
data da un parente all'altro, poi sono fi-
nita in Cecoslovacchia, dove il mio li-
bro è ambientato. Avevo quindici anni
allora, e lavoravo in una fabbrica di
ghette per militari. Abitavo in una casa
che era appartenuta ai tedeschi sudeti, i
nazisti più cattivi e fanatici durante la
guerra, ricacciati in massa in Austria e
in Germania alla fine del conflitto. I lo-
ro mobili e il letto puzzavano di nazi-
smo. Sembrava che il muro stesso eva-
porasse l'odio. Mi sentivo sola, senza
documenti, sono stata anche in prigione
per un giorno e una notte, pensavo di
impazzire.
Nel romanzo chi rappresenta la soffe-
renza, la solitudine, lo spaesamento
del sopravvissuto inascoltato?
Anita, la protagonista. E' una quin-
dicenne orfana vittima di una storia
d'amore con un uomo, fratello del mari-
to della zia, che la seduce, e quando
viene a sapere che è incinta minaccia
perfino di ucciderla se non abortisce. Lei
con sotterfugi di ogni tipo salva il bam-
bino e fugge verso la Terra Promessa con
l'aiuto di un agente israeliano che gira
l'Europa per portare i sopravvissuti nel-
la loro Terra.
Lo Stato di Israele è appena nato?
Sì, siamo nel 1948. Anita realizza il
sogno della madre che parlava sempre
della Palestina. E la madre, morta ad
Auschwitz, l'accompagna nel viaggio,
simbolicamente, in forma di pesce, nuo-
ta sotto la nave e la guida verso la Ter-
ra tanto amata, dove lei voleva almeno
morire se non poteva vivere.
E in Cecoslovacchia che cosa succede?
L'atmosfera è da incubo, arrestano la
gente di notte, le prigioni sono piene, la
situazione intorno è abbastanza tragi-
ca, la miseria è tanta: il libro finisce pri-
ma del colpo di Stato di Gottwald. E
l'influenza di Stalin sarà decisiva per la
sorte di quel Paese.
Come mai Anita si accorge di essere
incinta solo al quinto mese?
Le donne della mia generazione non
hanno avuto alcuna educazione sessua-
le. In più, dopo la guerra, per moltissimi
mesi, le deportate non hanno avuto le
mestruazioni, perché i nazisti avevano
bloccato il ciclo di tutte le donne nei la-
ger. Anita si accorge di essere incinta
grazie al bambino: un giorno, mentre
sta per fare la doccia, il piccolo le si
butta al seno e succchia, lei subito non
capisce cos'è quella cosa bianchiccia,
poi si meraviglia che dal suo capezzolo
viene il latte. La ragazza scopre così di
essere incinta e si meraviglia che il suo
corpo, che non valeva nulla, che poteva
essere bruciato da un momento all'altro,
può mettere al mondo un bambino al
posto di un milione di bambini uccisi
durante la deportazione.
E' un tornare alla vita?
In un certo senso partorisce se stessa.
Lei nasce con questo bambino che è suo,
che vuole a tutti i costi, perché è la vita
che porta nella pancia.
Nel libro affronti la trasmissione del-
la memoria?
Con Primo Levi abbiamo parlato
spesso del fatto che nessuno volesse
ascoltare noi sopravvissuti. Anita accu-
disce il figlio della zia che la ospita, al
quale racconta in parte, all'insaputa de-
gli altri, il proprio vissuto come fosse
una favola nera, scegliendo ciò che è
possibile dire ad un bambino di sette-ot-
to mesi. E' così piccolo, e la prima paro-
la del bimbo sarà la...la...ger.
dicembre 2007 noidonne2
Edith Bruck
Guendalina Di Sabatino


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