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Numero 3 del 2008

Otto marzo da 100 anni: 1908 - 2008


Foto: Otto marzo da 100 anni: 1908 - 2008
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giorni una donna viene uccisa in casa e
che due milioni 938mila nel 2006 han-
no denunciato violenza sessuale o mal-
trattamenti, mentre sette milioni e mez-
zo sono le donne che riconoscono di
aver subito violenza sessuale: nel 69%
dei casi autore della violenza è il mari-
to o un amico, non uno sconosciuto. La
chiesa cattolica (dovremmo dire "le
chiese", perché tutte sono sessiste e va-
lorizzano ab origine la discriminazione
delle donne), condannando l'aborto in
generale, interviene nell'agenda legisla-
tiva italiana per limitare la 194.
Difficilmente si potrebbe pensare che
l'interruzione della gravidanza sia una
decisione "etica", ma, siccome non si
può immaginare che mettersi i ferri in
pancia sia una pratica umanamente in-
differente, come mai chi si occupa di
morale pubblica, di ducazione e di leg-
gi non pensa che il modo più certo di
evitare l'aborto sia seguire il magistero
femminile? quando le donne dicono
"maternità libera e responsabile" inten-
dono forse pronunciare uno slogan (ma-
sochista) di politica femminista per il
diritto tout court di aborto? Se non si
comprende che il potere del maschio, ir-
responsabile nel comportamento sessua-
le più o meno come in Uganda, non
consente la libertà femminile nel rap-
porto, alle donne resta solamente di
avere intera l'autonomia di recuperare
la responsabilità di avere figli soggetti-
vamente voluti.
Non abbiamo illusioni sulle chiese
governate e composte da soli maschi,
che non evangelizzano il proprio genere
e condannano la contraccezione e il
preservativo.
Non ci illudiamo neppure sui politi-
ci, non diciamo con riferimento al-
l'on.Mele che si portava in albergo due
prostitute e un po' di coca mentre la mo-
glie era in dolce attesa, e ai colleghi che
prontamente chiesero il finanziamento
per il soggiorno delle mogli assimilate
alle prostitute; nessuna illusione neppu-
re su chi accetta il 50/50.
E neppure su noi stesse, visto che c'è
chi si è fatta eleggere in quota donna
per dimettersi subito a favore della quo-
ta maschi.
Otto marzo e non son rose né mimo-
se. Teniamo i piedi così per terra che bi-
sogna che stiamo attente a non scavar-
ci la buca. Da sempre la possibilità di
incidere sullo sviluppo delle società non
è nelle nostre mani, anche perché abbia-
mo intrigati i cuori: come donne amia-
mo i nostri uomini, anche se egoisti; co-
me cittadine votiamo i leader che sti-
miamo, anche se non si persuaderanno
al nostro linguaggio.
Ma c'è molto da fare - ed è questione
di politica dei due sessi, non di solo fem-
minismo - perché Hillary vada avanti
magari senza Bill sempre alle spalle;
perché Anna Finocchiaro possa ottenere
ascolto nelle aule tradizionali della po-
litica con il linguaggio e i contenuti di
genere che ben conosce; perché i segre-
tari confederali del sindacato partano
dalle donne uccise un secolo fa - non
molto diverse dalle precarie di oggi - e
dalla minacciata riduzione di un genere
ad ammortizzatore sociale.
Se va storta a noi, "fortunate" ed
"emancipate", che cosa potrà succedere
alle donne in tutti gli altri continenti?
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a cento anni dal primo otto marzo, una ricognizione in giro per il
mondo sulle violenze che ancora dominano i rapporti tra uomini e
donne. E se va male a noi 'emancipate', figuriamoci alle altre…
Morire di integralismi
Le notizie di guerre, di violenza, di attentati,
nei quali muoiono soprattutto innocenti,
donne, uomini, bambini che ci arrivano
dall'Irak , dall'Afganistan, dal Medio Oriente
e quelle rare che ci giungono dagli altri Paesi
del mondo, arrivano nelle nostre case, nei
nostri posti di lavoro lasciandoci ormai pur-
troppo pressoché indifferenti. Con qualche tre-
menda eccezione legata ormai a situazioni
particolari. Così è stata la notizia di due
donne kamikaze che il 1 febbraio hanno cau-
sato la morte di circa 70 persone nei due mer-
cati degli animali e degli uccelli di Bagdad è
forse uno dei segni più forti del livello di vio-
lenza in atto in Irak. E non perché si trattasse
di donne, mai considerate innocenti a priori,
ma perché erano due donne disabili mentali,
forse una Down. Due donne fatte esplodere "a
distanza" perché probabilmente, inconsapevo-
li di quanto stata succedendo, perché non in
grado di azionare da sole il congegno esplosi-
vo. Nello stesso tempo, negli stessi giorni arri-
vava dall'Afganistan la notizia del giornali-
sta condannato a morte per aver portato all'
università di Kabul la traduzione di un arti-
colo che spiegava come il Corano potesse
essere interpretato in maniera più liberale per le donne.
Nell'articolo, Sayed Pervez avrebbe sostenuto "il diritto delle donne
ad avere più mariti così come, secondo il Corano, un uomo può
sposare fino a quattro donne". Secondo un'altra versione Pervez si
sarebbe limitato a scaricare un testo "vietato" da internet. Che il
diritto alla poligamia anche per le donne sia un elemento di "liber-
tà" in un Paese dilaniato dalla guerra da decenni e dove moltissi-
me donne sono vedove, spesso impossibilitate a lavorare è tutto da
dimostrare, ma che vi sia una recrudescenza "cattiva" nei confron-
ti delle donne è sotto gli occhi di tutti, di tutti quelli che vogliono
vedere.
Che le guerre non avessero mai risparmiato le donne lo sappiamo,
e questo non è successo solo a partire dallo scorso secolo, forse dal
secolo scorso la consapevolezza è uscita dal silenzio, grazie alla
denuncia di altre donne, delle storiche, dei movimenti. Né dobbia-
mo dimenticare le "pulizie etniche" nella ex Yugoslavia solo una
decina di anni fa.
Ma un integralismo tira l'altro.
Come chiamare altrimenti l'accanimento a cui assistiamo in que-
sti tempi anche da parte cattolica?
In Spagna i vescovi hanno invitato i cattolici a votare contro quei
partiti, la coalizione di Zapatero, che condividono lo "scempio "
delle coscienze cristiane, da noi la ormai quotidiana crociata con-
tro la legge 194 ha assunto toni persino offensivi per l'intelligenza
e la dignità delle donne del nostro Paese.
Che fossimo così "pericolose" lo sapevamo dalla storia, ma questo
accanimento non è nemmeno "terapeutico". E' mortale.
Alida Castelli


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