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Numero 12 del 2009

Femminsmo: parliamone


Foto: Femminsmo: parliamone
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Testi pagina 7

noidonne dicembre 2009 7
che" all'orecchio femminile - che pur ne
accettava la rilevanza - espressioni for-
malmente ineccepibili quali "pari op-
portunità" o "tutela" (della legge).
Più chiaramente con un esempio: nel
marzo 2003 il Parlamento, con grande
soddisfazione espressa da deputate e se-
natrici, ha deliberato una riforma del-
l'art. 51 della Costituzione per promuo-
vere (e non "garantire") le pari opportu-
nità (e non i "pari diritti") per un'effetti-
va parità elettorale. I risultati sono sot-
to gli occhi di tutti. Anche i partiti im-
pegnati a realizzare il 50/50 rinfacciano
alle donne, senza domandarsene la ra-
gione, la difficoltà di reperimento delle
candidate. Perché vorrebbero diventare
casalinghe delle istituzioni senza diritti
propri? Continuare ad accettare come
aiuti alle famiglie le riduzioni fiscali e
non i servizi?
Riformare l'esistente appare difficile
anche per gli uomini; riformarlo a misu-
ra di genere è molto più complicato.
Strutture e istituzioni sono il risultato di
idee e operazioni di mediazione che si
sono amalgamate nel tempo, confluen-
do in bacini culturali complessi. Dentro
ci stanno quelli che ne capiscono le re-
gole perché in qualche modo, anche re-
trospettivamente, ne sono responsabili;
e sono gli uomini. Il ragionamento vale
per la cultura in generale, ma un conto
è dibattere principi, ideali e costumi ine-
vitabilmente in evoluzione, un altro agi-
re politicamente.
Personalmente mi sono resa conto di
recente di un nostro handicap ascoltan-
do una lezione di Nadia Urbinati so-
stanzialmente riferita alla cultura libe-
rale. Il tema non è stato oggetto di stu-
dio privilegiato del femminismo, che ha
sempre scelto il progressismo e la sini-
stra, anche radicale.
Pure per l'uomo è rischioso affidarsi
unicamente al criterio di proprie verità
ideali e spesso l'opposizione di sinistra è
consistita in prassi del "no" unite al
compromesso di vertice.
Come donne dovremmo, ancor più
dell'altro genere, essere consapevoli di
come si sono formati concetti come
"pubblico" e "privato". Il pensiero libera-
le è sostanzialmente pessimista sul va-
lore della politica e considera come va-
lore alto ed esclusivo solo il privato,
luogo degli affetti, della famiglia, delle
relazioni, dell'impresa. La sua essenza
comporta una propria, interna eticità,
se è vero che nel privato non si può fare
tutto quello che si vuole, ma quello che
si deve: ovvio che la natura umana,
avendo i suoi limiti, non è sempre giu-
sta, ma i correttivi vanno sempre affi-
dati alla "libera" iniziativa, senza intru-
sioni improprie. Il "pubblico" è il luogo
della necessità e la politica deve cerca-
re gli accomodamenti secondo giustizia:
anche lo Stato e il Parlamento esistono
per la necessità di risolvere i grandi pro-
blemi. La democrazia, d'altra parte, è il
mondo della parola, non del populismo
unanimista: le leggi e la giustizia si dan-
no argomentando e assumendo per
uguale anche chi uguale non è. Come
per il mondo greco antico, il discorso
privato serve per convivere, quello pub-
blico per persuadere.
Può sembrare che questo sia ovvio e,
forse, limitante. Ma è alla base delle
strutture, anche mentali, nelle quali vi-
viamo. Come donne vale la pena di ap-
profondire e di impegnarci in ulteriori ri-
cerche. Infatti le donne vivono assorbi-
te, fin dall'infanzia e in maniera pre-
ponderante, nell'ideologia del privato.
Che è quel luogo dello "stare bene", an-
che se di lì partono le grandi ingiustizie
e le grandi violenze. Le donne accettano
il doppio o triplo lavoro, perché occu-
parsi della casa, delle persone più (o
meno) care, dei bambini, degli anziani e
dei deboli è gratificante e, in quanto di-
rettamente umano, prioritario. Ma non
riescono, per esempio, a far capire che
la "cura" non è un'operazione oblativa,
ma un valore umano, richiesto a tutti e
condivisibile anche dagli uomini, che la
politica deve sostenere con l'ausilio dei
servizi sociali. Dalla stessa percezione
della realtà nascono le difficoltà per le
donne di denunciare le vessazioni in fa-
miglia anche quando riguardano stupri
e pedofilie e di sostenere al pronto soc-
corso evidenti bugie a riparo del coniu-
ge che è padre dei loro figli. Il privato
femminile resta, dunque, inteso come re-
gno di un'etica di responsabilità che si
sa non condivisa e non sociale; ma an-
che come piacere della casa, della vita
di coppia, dei miti dei mulini bianchi e
della tv.
Ma il privato resta anche alla base
delle ragioni per cui il femminismo ri-
sulta la sola novità della filosofia con-
temporanea, senza che sia riuscita a
produrre una propria politica. Che re-
sta, per tutte le posizioni di pensiero,
dominio del pubblico, con esclusione
del privato e rimozione dei soggetti che
abitano "per natura" il privato, cioè le
donne e, a partire da loro, i bambini, i
malati, gli anziani improduttivi da sem-
pre appaltati al destino femminile. Inos-
sidabile anche alla formulazione mo-
derna del diritto che non può più nega-
re la parità di sesso, ma non riesce a
comprendere, neppure lessicalmente, la
parità "di genere".
I diritti umani si riducono tuttora, in
concreto, a erogazioni di benefici per i
"diversi" a cui gli stati possono perfino
gradualmente consentire.
Ma finché la prima di tutte le diffe-
renze non diventerà co-autrice della po-
litica, difficilmente la libertà e la giusti-
zia diventeranno - ripeto: anche mental-
mente - uguali per tutti in quanto dirit-
to e non beneficenza.
l'intreccio complesso tra pubblico e privato e la presenza
delle donne nelle istituzioni: questioni non risolte
dopo anni di dibattito.
Siamo ancora al palo tra diritti ed elargizioni


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